Le imprese italiane sanno innovare in modo sostenibile, ma hanno ancora bisogno di spinte. Ne parliamo con Alessandro Fontana, direttore del centro studi di Confindustria
I dati contenuti e spiegati nel rapporto del centro studi Confindustria sono molto positivi, l’Italia è uno dei paesi più sostenibili del G20 e dell’Unione Europea. Le imprese italiane hanno fatto e stanno facendo molto sul fronte dell’economia circolare, e stanno facendo bene. Quali sono le condizioni che hanno favorito questi risultati positivi?
L’Italia eccelle nell’economia circolare sia per necessità storiche sia per la capacità imprenditoriale e industriale di innovare in modo sostenibile. Per quanto riguarda le necessità storiche, la limitata disponibilità di materie prime sul territorio nazionale – che comporta una forte dipendenza dalle importazioni – ha spinto il nostro sistema manifatturiero a ottimizzare il consumo di materiali.
L’Italia si distingue così per un’elevata produttività delle risorse, pari a 3,6 euro per chilogrammo. Un valore nettamente superiore alla media europea di 2,2 euro/kg e più alto rispetto a Paesi come Francia, Germania e Spagna. Il significativo miglioramento della produttività delle risorse si accompagna a una solida performance anche sul fronte della produttività energetica, ambito in cui l’Italia si colloca tra i Paesi più virtuosi in Europa. L’elevata efficienza nell’utilizzo dell’energia consente infatti di compensare, almeno in parte, i prezzi dell’elettricità che sono storicamente più alti rispetto a quelli sostenuti dai principali partner europei.
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Il tessuto produttivo italiano, fortemente caratterizzato da distretti industriali e piccole e medie imprese, favorisce la diffusione di pratiche circolari attraverso reti locali agili e interconnesse. Inoltre, la tradizione artigianale e manifatturiera, orientata alla qualità, alla riparabilità e alla durabilità dei prodotti, si traduce in un approccio naturalmente compatibile con i principi dell’economia circolare. Pur essendo indietro nei confronti internazionali per quanto riguarda i brevetti e l’innovazione radicale, molte imprese italiane si distinguono per un’innovazione diffusa e incrementale. Un’innovazione spesso sviluppata dal basso in risposta diretta a esigenze produttive o normative, che si è rivelata particolarmente efficace nell’integrare soluzioni sostenibili nei processi industriali.

Come crescere
Una economia sempre più circolare significa aumento del valore aggiunto dell’economia e incremento dell’occupazione degli addetti nel settore. Ci sono ancora margini di crescita?
L’Italia è tra i grandi Paesi europei quello che ha registrato il secondo maggior incremento degli investimenti in economia circolare, preceduta solo dalla Germania (+61,2%) e davanti a Spagna (+46,4%) e Francia (+2,3%). Questa accelerazione ha avuto ricadute occupazionali significative. In Europa, gli occupati nei settori legati all’economia circolare sono circa 4,3 milioni, con una crescita del 5,1% tra il 2017 e il 2021. In Italia si contano oltre 613 mila lavoratori impiegati in questo ambito (+3,6%), pari al 2,4% del totale degli occupati. Un contributo rilevante arriva dai settori del riciclo, del riuso e della riparazione. Sono settori che rappresentano una quota importante dell’occupazione circolare e dimostrano il potenziale di questi comparti nel generare lavoro locale, qualificato e sostenibile.
Il settore presenta ancora margini di crescita, offrendo nuove opportunità occupazionali. Tuttavia, le imprese stanno affrontando difficoltà nel reperire diverse figure professionali, e tra queste ci sono anche quelle con competenze specifiche per la transizione green. Secondo l’indagine Confindustria sul lavoro del 2024, il 69,8% delle imprese che stanno cercando personale riferisce difficoltà nel reperirlo. Tra di loro il 15% segnala problemi specifici nel settore green. Senza un’adeguata offerta formativa, il rischio è che l’espansione del settore venga rallentata dalla carenza di profili preparati. Il che vale soprattutto nei comparti più innovativi e ad alta specializzazione.
L’Europa a due velocità
Per quanto riguarda le pratiche circolari, si parla di un’Europa a due velocità, con la “Vecchia Unione” che fa da traino. Che cosa serve per riequilibrare la situazione?
Nonostante i notevoli progressi compiuti dall’Europa nel suo complesso, è vero che diversi studi evidenziano la persistenza di una “Europa a due velocità” nell’adozione delle pratiche di economia circolare. I paesi della cosiddetta “Vecchia Unione” – tra cui Germania, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Spagna e Italia – occupano una posizione di leadership nella transizione. Infatti, hanno affrontato per primi le sfide legate all’accumulo di rifiuti, alla scarsità di risorse e all’inquinamento, adottando misure strutturali per mitigarne gli effetti. Al contrario, i paesi dell’Europa centrale e orientale presentano ritardi più evidenti. Ritardi riconducibili principalmente a strategie di sviluppo economico differenti e a livelli di maturità socioeconomica ancora non allineati a quelli dell’Europa occidentale.
La presenza di strategie consolidate ha consentito ai paesi della “Vecchia Unione” non solo di investire maggiormente in tecnologie innovative, ma anche di sviluppare quadri normativi efficaci e partenariati pubblico-privati, che sono essenziali per il progresso dell’economia circolare. Una parte del divario accumulato dai paesi dell’Europa centrale e orientale è destinata a colmarsi nel tempo in maniera “naturale”, congiuntamente al processo di convergenza economica e catching-up rispetto alla “Vecchia Unione”, supportato anche dagli effetti di spillover derivanti dalla fitta rete di relazioni commerciali. Tuttavia, permane la necessità di un coordinamento più forte e di un supporto a livello europeo. Con il fine di promuovere una transizione circolare più uniforme e in tempi più brevi, anche attraverso un quadro normativo più armonizzato e coerente.
Innovazione e brevetti
Ottime performance delle imprese italiane ma il rapporto rileva che occorre fare di più sul fronte dell’innovazione (brevetti). Quali misure e iniziative potrebbero aiutare rispetto a questa necessità?
Come già evidenziato, nonostante le ottime performance delle imprese italiane in termini di riciclo e sostenibilità, rimangono passi avanti da fare sul lato dell’innovazione. Guardando ai brevetti depositati legati al riciclo o alle materie prime seconde, l’Italia è ultima tra i grandi paesi europei con 0,36 brevetti ogni milione di abitanti, dietro Francia (0,40), Spagna (0,45) e Germania (0,55). Per stimolare l’innovazione, è fondamentale incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo attraverso crediti d’imposta e finanziamenti pubblici, soprattutto per le PMI.
Inoltre, promuovere collaborazioni tra università e imprese e semplificare le procedure di brevettazione potrebbe favorire una maggiore protezione delle innovazioni e accelerarne la diffusione. Confindustria si impegna attivamente per semplificare l’accesso delle imprese alle misure di supporto all’innovazione, facilitando la fruizione di incentivi fiscali e finanziamenti. In particolare, lavora per migliorare il “tiraggio” delle politiche, con un’attenzione particolare alle piccole imprese e a quelle situate in zone meno densamente popolate di attività produttive.
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In generale, rispetto alle pratiche per una economia circolare, in quali ambiti è possibile fare ancora meglio? Che cosa serve alle imprese per fare ancora meglio?
Per favorire lo sviluppo dell’economia circolare in Italia, è fondamentale agire sia sulla domanda sia sull’offerta, per rendere la circolarità ancora più profittevole e quindi una scelta strategica a livello economico.
Sul lato della domanda, è necessario incentivare l’acquisto di prodotti realizzati con materiali rigenerati, certificati o con marchi collettivi. Ad esempio riducendo l’aliquota IVA al 5%. Inoltre, il rafforzamento del Green Public Procurement (GPP) e degli acquisti verdi da parte delle pubbliche amministrazioni può giocare un ruolo cruciale nel promuovere questi acquisti sostenibili.
Sul lato dell’offerta, sarebbe opportuno prevedere incentivi a fondo perduto per le PMI. Le quali, pur non essendo direttamente soggette alla nuova normativa EFRAG/CRSD, fanno parte della catena di fornitura delle imprese che ne sono interessate, in modo da aiutarle a coprire i costi di adeguamento agli standard della normativa imminente. Inoltre, è necessario un quadro normativo chiaro e stabile che fornisca indicazioni precise sulle pratiche da adottare, facilitando così la transizione verso l’economia circolare. Parallelamente, l’adozione di tecnologie innovative come l’Internet of Things (IoT) potrebbe migliorare notevolmente il monitoraggio e l’ottimizzazione del recupero dei materiali, aumentando l’efficienza nella gestione delle risorse.