mercoledì 07 Mag, 2025

«Basta lavorare così»

Dalle grandi dimissioni ai carichi eccessivi all’insoddisfazione cronica, il rapporto vita-lavoro va riscritto. Ne abbiamo parlato con l’esperta Silvia Zanella, autrice di «Basta lavorare così»

Cresce il malessere sul posto di lavoro. Lo dicono le ricerche, come quella recente dell’Osservatorio HR del Politecnico di Milano, in collaborazione con la società di ricerche di mercato BVA Doxa, per la quale solo l’11% dei lavoratori sta bene al lavoro nelle tre dimensioni del benessere psicologico, relazionale e fisico. Secondo lo stesso studio, il 42% si è assentato, almeno una volta, nell’ultimo anno per malessere psicologico e relazionale. 

Siamo sempre più insoddisfatti, stressati, preoccupati, a lavoro e per il lavoro. E anche quando “stacchiamo”, portiamo con noi a casa, in famiglia, nella vita, un profondo turbamento, continuiamo a rimuginare su ciò che è andato storto in quella riunione, sui rapporti critici con i colleghi, sulla demotivazione come una costante da cui è difficile liberarsi. Sconfinamenti lavoro/vita che sono una stortura e fonte di ulteriore malessere. 

Una relazione disfunzionale

Il paradosso che ci avvolge e che pare irrisolvibile è che viviamo un tempo di grande incertezza in cui ci sentiamo minacciati di perdere il posto, dalla tecnologia, dall’arrivo dell’intelligenza artificiale, e quindi siamo strenuamente impegnati a tenerci stretto il lavoro, ma al tempo stesso siamo anche scontenti, a tal punto da voler mollare tutto e cambiare. 

In molti lo fanno, vedi il fenomeno delle grandi dimissioni, esploso nel dopo pandemia. Sempre dalla ricerca del Politecnico di Milano, il 46% dei lavoratori ha cambiato occupazione negli ultimi dodici mesi o ha intenzione di farlo. Nel caso degli under 27, la percentuale sale al 77%.  

Silvia Zanella è una manager specializzata nella comunicazione per le risorse umane e conosce bene questi temi, li frequenta e studia da anni. Ha voluto esplorarli a fondo nel libro «Basta lavorare così» (Bompiani, 2025). Le abbiamo chiesto di approfondire il ragionamento che propone nel testo, dall’analisi dell’esistente, al grande scombussolamento causato dalla pandemia, con il lavoro che si trasforma in un continuum senza interruzioni ma anche in una esperienza che può prescindere dalla presenza fisica costante in ufficio.

Lavorare male crea sofferenza

E poi, le aziende sono consapevoli del malessere che vivono i loro dipendenti e quali iniziative possono mettere in campo per affrontare il problema? L’autrice traccia un percorso di conoscenza fatto anche dall’ascolto di tante persone che sono disposte a raccontare le mille disfunzionalità che vivono nel rapporto quotidiano con il lavoro. E non mancano anche spunti al cambiamento che potrebbero arrivare dalla Generazione Z, la più insoddisfatta e al tempo stesso motivata a non accettare condizioni che possano essere fonte di infelicità. Ma partiamo dall’inizio. 

Zanella, come possiamo descrivere la fase attuale che attraversa il mondo del lavoro?

La fase attuale del mondo del lavoro è caratterizzata da una forte incertezza e trasformazione. L’introduzione dell’intelligenza artificiale sta cambiando radicalmente le dinamiche lavorative, creando timori di perdita del posto e spingendo molti a cercare di mantenere il proprio lavoro a tutti i costi. Questo porta a un aumento dello stress e dell’insoddisfazione, con tante persone che considerano anche di abbandonare tutto per cercare nuove opportunità. Siamo nel momento storico in cui sembrerebbe avvicinarsi la fine del lavoro, soppiantato macchiettisticamente dai robot, ed è invece il momento per disegnarlo in maniera nuova: più umana, più sana, più sostenibile. Dopo uno stato solido del lavoro, quello industriale, abbiamo attraversato quello liquido o digitale, mentre adesso ci troviamo in quello gassoso, con scarsissima visibilità. In attesa di scoprire quale sarà il quarto stato.

Il ruolo della pandemia

Che ruolo ha avuto la pandemia e come ha modificato la relazione col lavoro?
La pandemia ha avuto un ruolo cruciale nel modificare la relazione col lavoro. Ha accelerato l’adozione dello smart working, smantellando l’unità di spazio-tempo-azione che caratterizzava il lavoro tradizionale. Questo ha portato a una ridefinizione dei confini tra vita e lavoro, rendendo più evidente la necessità di flessibilità e autonomia organizzativa. Dal 2020 gli assunti apparentemente immutabili su cui si basava il lavoro contemporaneo sono andati man mano sgretolandosi, scomponendo l’unità di spazio-tempo-azione che li aveva contraddistinti fino a quel momento. Inoltre, ha dato voce a nuove priorità personali.

Basta lavorare così

La pandemia e il quadro completamente modificato che ne è seguito, ha anche prodotto degli effetti positivi, fatto maturare una consapevolezza nuova? Insomma, ha lasciato qualcosa di buono?

Sì, la pandemia ha prodotto effetti positivi. Ha fatto maturare una nuova consapevolezza sull’importanza del benessere e della salute mentale, sia a livello individuale che aziendale. Ha anche accelerato la trasformazione digitale e la diffusione di modalità di lavoro più flessibili, che possono migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro. Gli sconfinamenti tra vita e lavoro sono diventati sempre più evidenti e, per molti, fonte di spaesamento o di malessere. Per altri, invece, sono stati forieri di nuove opportunità, e con esse di eccitazione e slanci verso il futuro.

Per cosa si sta male oggi sul posto di lavoro o in generale nella relazione con il proprio lavoro?

Oggi si sta male sul posto di lavoro principalmente per la mancanza di riconoscimento, la scarsa possibilità di crescita, le relazioni tossiche con capi e colleghi, e l’eccessivo carico di lavoro. La frustrazione deriva anche dalla difficoltà di trovare un significato in quello che si fa e dalla sensazione di essere costantemente sotto pressione. Non è normale svegliarsi la mattina con il mal di pancia, non dormire di notte rimuginando su una discussione avuta in ufficio, perdere l’appetito pensando a una mail, portarsi sempre il computer in vacanza, non staccare mai.

I campanelli d’allarme

Quali segnali sul posto di lavoro devono farci scattare un alert, farci maturare la consapevolezza che qualcosa non va e che dobbiamo correre ai ripari?

Sentirsi costantemente stressati, la mancanza di motivazione, le relazioni conflittuali con capi e colleghi, la sensazione di non essere valorizzati. Se ci si sveglia ogni mattina con il mal di pancia pensando al lavoro, è un chiaro segnale che qualcosa non va e che è necessario intervenire. Smantellare certe abitudini e mettere in discussione determinati modi di fare e tipi di leadership aiuterà non solo a far stare meglio i singoli e aumentarne la motivazione, ma anche a far circolare più energia all’interno delle imprese.

Di fronte a fenomeni come le grandi dimissioni, che esprimono un malessere generalizzato e devono essere un segnale preciso per le aziende, queste ultime stanno cercando di capire il fenomeno e contrastarlo offrendo condizioni migliori?

Sì, molte aziende stanno cercando di capire il fenomeno delle grandi dimissioni e di contrastarlo. Stanno investendo in politiche di benessere, flessibilità, e miglioramento delle condizioni lavorative per trattenere i talenti e aumentare la motivazione dei dipendenti. Disinfestare gli ambienti aziendali da comportamenti aggressivi anche inter pares, superficialità manageriali, indifferenza, disinteresse verso le persone, bullismo, sessismo, discriminazioni, iniquità è quanto di più in alto dovrebbe stare nella to-do-list di un imprenditore.

Riscrivere il rapporto con il lavoro

In sede di colloquio di lavoro quali domande non sono adeguate, non possono essere accettate e sono fuori legge? 

Durante un colloquio di lavoro, domande riguardanti il sesso, l’orientamento sessuale, lo stato matrimoniale, la gravidanza, la gestione della famiglia, la professione dei genitori, lo stato di salute, la disabilità, il credo religioso, e il pensiero politico o sindacale sono vietate per legge. Queste domande sono inammissibili e possono essere rifiutate.

Come possiamo riscrivere la nostra relazione col lavoro, come possiamo creare individualmente le condizioni per un miglior equilibrio vita/lavoro? 

Per riscrivere la nostra relazione col lavoro e creare un miglior equilibrio vita/lavoro, è importante riconoscere i propri bisogni e valori, cercare un lavoro che li rispecchi, e stabilire confini chiari tra vita privata e professionale. La felicità sul lavoro si raggiunge quando si trova un significato in quello che si fa, si ha la possibilità di crescere e si lavora in un ambiente rispettoso e inclusivo. Dobbiamo imparare a decifrare i segnali, a notare le avvisaglie che ci fanno star male o che ci elettrizzano e, con la maggiore lucidità e onestà intellettuale possibile, reagire in un caso e nell’altro.

Silvia Zanella

Voglia di cambiamento

La Generazione Z dimostra coraggio, non accetta molte storture del sistema. Si dimostra disposta a non accettare condizioni di impiego giudicate insoddisfacenti. Sono dei «kamikaze» o dei possibili innovatori?

Più che kamikaze sono possibili innovatori e agenti di cambiamento. Hanno aspettative diverse rispetto alle generazioni precedenti e sono disposti a sfidare i modelli tradizionali per creare un ambiente di lavoro più equo, inclusivo e sostenibile. Una generazione molto mobile, a livello di pensiero e di geografie, che avanza pretese anche perché consapevole che essa stessa è merce rara sul mercato. E conscia anche che i sacrifici dei genitori o dei fratelli maggiori non sempre sono stati ripagati.

Il lavoro nel futuro: che succederà? Certi fenomeni si inaspriranno o possiamo sperare che ci siano cambiamenti positivi?

La tecnologia continuerà a trasformare il mondo del lavoro, ma credo che, per quanto ora possa sembrare strano, ci sarà anche una maggiore attenzione al benessere, alla flessibilità e alla sostenibilità. Le aziende che sapranno adattarsi a queste nuove esigenze saranno quelle che prospereranno. Continuare a lavorare “vecchio stile” è deleterio, sia per gli individui sia per le organizzazioni, e questo cambiamento necessario sarà accelerato anche dalla tecnologia, che ci libererà da parte delle mansioni. Per far tornare la voglia di lavorare bene alle persone è quindi imprescindibile un cambio di passo culturale e comportamentale.

Perché non è vero che la gente non ha più voglia di lavorare. La gente non ha più voglia di lavorare così.

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