giovedì 23 Mag, 2024

L’occasione (complessa) di Transizione 5.0

L’atteso piano del Governo che traduce i fondi PNRR destinati alle imprese è finalmente legge. Intervista a Fabio Massimo Marchetti, Vice Presidente ANIE Automazione

Ci sono voluti mesi di attesa, infine è arrivato. Nel Consiglio dei Ministri dello scorso 26 febbraio è stato approvato il decreto-legge PNRR che introduce il nuovo Piano Transizione 5.0. Ci sono 6,3 miliardi di euro sul piatto, per portare avanti il lavoro iniziato con Industria 4.0 e guardare ora ad un approccio strategico sui processi produttivi, non solo più sui beni. I tre pilastri dell’industria di domani sono la dimensione umano-centrica, la resilienza e la sostenibilità. Il doppio binario – come è noto – corre lungo la twin transition, ovvero la transizione digitale e sostenibile. Ne parliamo con Fabio Massimo Marchetti, Vice Presidente ANIE Automazione con delega alla digitalizzazione, Presidente del Gruppo Software Industriale di ANIE Automazione e membro dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano.

Cominciamo dai benefici previsti. Il Piano prevede un credito d’imposta dal 35% al 45%, che cresce proporzionalmente alla riduzione dei consumi energetici, ma si riduce invece con l’aumento dell’investimento. Gli investimenti si riferiscono all’acquisto di beni materiali e immateriali nuovi e strumentali all’attività d’impresa, in grado di consentire un risparmio energetico pari almeno al 3% o, in alternativa, al 5% dell’intero processo produttivo.

A chi si rivolge e con quale ratio è stato progettato il Piano?

La premessa è quella data dai risultati del Piano Transizione 4.0, che è stato sfruttato in modo esteso ma con un approccio tattico. Ancora oggi infatti risulta che i dati generati attraverso l’integrazione dei sistemi 4.0 siano poco utilizzati. I dati del Politecnico di Milano sulla diffusione degli IoT ci danno uno spaccato di questo tipo, con un utilizzo molto basso relativo ai dati, pari a circa il 30% delle aziende che hanno fatto investimenti. È evidente che tramite il Piano 5.0 il Governo ha voluto puntare sul tema del processo, piuttosto che sull’impianto o sulla tecnologia, perché questo dovrebbe innescare l’utilizzo dei dati generati tramite gli investimenti precedenti. Il piano adotta il criterio per cui qualsiasi tipo di intervento o progetto di innovazione, deve portare un beneficio in termini di riduzione dei consumi energetici. Questo elemento introduce due temi. Il primo è quello della misura, ovvero la valutazione quantitativa del beneficio, che non era presente in 4.0 dove l’importante era rispettare i requisiti tramite una valutazione qualitativa. Il secondo aspetto, connesso al primo, è la valutazione dell’impatto della riduzione dei consumi sull’intero processo produttivo. Questo elemento è dettato dal bisogno di migliorare efficienza e efficacia e si determina valorizzando i dati acquisiti. Il loro mancato utilizzo infatti impedisce di conoscere l’effettivo beneficio dell’investimento. Ecco dunque che ci si sposta sul processo e sull’aggregazione dei dati relativi al processo. Il Piano si rivolge a tutte le aziende che hanno un impianto produttivo e che negli anni 2024 e 2025 effettuano nuovi investimenti in strutture produttive situate nel territorio italiano, nell’ambito di progetti di innovazione da cui consegua una riduzione dei consumi energetici. 

Quali sono i punti di connessione con Industria 4.0 e, in termini di adempimenti richiesti alle aziende, quanto si complica il quadro?

L’Investimento 4.0 è valutato come fattore abilitante, a valle del quale ci sono componenti che possono essere trainate. La prima è quella della produzione di energia da rinnovabili, la seconda è la formazione. Parliamo di formazione a tutti i livelli, sia operativi che decisionali. Sono investimenti che generano un beneficio nel lungo periodo. L’elemento abilitante di un investimento 5.0, come dicevo, è un investimento 4.0. Deve esistere quindi e rispondere ai requisiti classici (bene materiale/immateriale, così come disposto nella cd legge Calenda). L’unica modifica introdotta è che nell’all. B vengono inseriti sistemi di monitoraggio dei consumi energetici e i sistemi gestionali di monitoraggio dell’energia. 

La nostra impressione è che il Governo abbia usato risorse che derivano da riconversione di fondi Ue, inserendo criteri che in un certo senso snaturano la continuità con i piani precedenti. Forse sarebbe stato meglio continuare a finanziare 4.0 come era in precedenza, piuttosto che inserire elementi che lo rendono difficilmente utilizzabile dalle piccole imprese. Mi riferisco alle valutazioni ex ante e ex post dei consumi, la revisione contabile, e tutta la parte di conferma, di prenotazione, l’iter di gestione del progetto. A questo si aggiunge la parte di certificazione, l’interconnessione o il collaudo per i beni 4.0. Tutti fattori che richiedono un impegno che non tutte le realtà riescono ad affrontare.

Per la prima volta si mettono a fattore comune diversi aspetti, si parla di processo e non solo di impianto. Questo richiede un cambio di mentalità degli imprenditori, anche in termini di sostenibilità

Inoltre i tempi sono strettissimi. Si creeranno disparità fra grandi e piccole imprese?

Lo temiamo. Solo una parte delle aziende ha beneficiato realmente del Piano Transizione 4.0, con il passaggio a una gestione di impresa data-driven. Le medie e grandi imprese già strutturate, che gestiscono progetti complessi e con iter autorizzativi definiti, saranno quelle in grado di rispondere. Esiste un termine di tempo particolare, si è perso metà anno in attesa dei decreti attuativi, tempo durante il quale nessuno ha fatto investimenti. 

Tuttavia resta un’opportunità significativa per le imprese. Ci sono tante risorse da utilizzare che non vanno sprecate. È un’occasione significativa perché per la prima volta si mettono a fattore comune diversi aspetti, in primis il fatto che si parli di processo e non impianto. Questo richiede un cambio di mentalità degli imprenditori, in termini di sostenibilità. È un’occasione anche per chi aveva iniziato il processo di digitalizzazione dei processi operativi perché permette di valorizzare quanto fatto in precedenza. 

Come valuta la non cumulabilità dei crediti di imposta con gli investimenti in ZES? Lascerà indietro il Mezzogiorno?

Ritengo sia abbastanza ragionevole. Le ZES hanno un approccio specifico, mi sembra corretto non sommare i benefici. Credo inoltre sia stata fatta una valutazione relativa ai vincoli UE e non penso che sia questo elemento a lasciare indietro qualcuno. 

Il gruppo di lavoro di Anie ha redatto un vademecum per le aziende su Industria 5.0, ci anticipa i contenuti di questo strumento?

Aiutiamo le imprese a definire la valorizzazione degli investimenti già realizzati, a partire dall’utilizzo dei dati. Per area operativa e per tecnologia di riferimento andiamo a individuare le componenti che generano una riduzione dei consumi. Ad esempio la gestione del dato di performance del sistema produttivo, gli sprechi, e in generale tutti gli apporti a un risparmio effettivo. Permette di ricordare alle imprese di non valutare solo l’investimento ma ricomprendere tutti gli aspetti in un’ottica di processo complessivo. 

Il tema della digitalizzazione e del percorso di miglioramento della sostenibilità sono convergenti e necessari. Il tema è conosciuto dal 90% delle aziende, ma solo il 75% ha fatto qualcosa e una percentuale ancora minore ha utilizzato i dati ottenuti. Occorre far capire alle imprese che è un percorso necessario e obbligatorio. Soprattutto per le PMI, il nostro vero asset che rischia di trovarsi in difficoltà. Vale anche per quelle filiere produttive complesse, esempio le terziste. Il nostro obiettivo, come associazione, resta quello di creare consapevolezza sui temi della digitalizzazione e della sostenibilità e sul fatto che questi temi sono, e devono essere, percorsi convergenti, oramai mandatori, per una maggiore competitività e resilienza del nostro sistema produttivo.

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