giovedì 19 Mag, 2022

Identikit di un CIO

Chi sono e a cosa servono i Manager IT

Intervista a Pasquale Testa

di Silvia Giannangeli

Competenze specifiche e trasversali per dialogare con tutte le figure aziendali. Pasquale Testa, presidente di CIO Club, spiega qual è il profilo ideale del Chief Information Officer (CIO). Una figura, quella del manager IT, che deve affrontare le sfide della transizione digitale ed ecologica, non solo nelle grandi aziende, ma anche – e soprattutto – nelle PMI.

Parliamo della figura del CIO in azienda, innanzitutto. Sempre più centrale nelle strategie di crescita aziendale. Conferma?

Confermo. Il suo ruolo nella crescita aziendale è chiave, per la sempre maggiore centralità dell’IT in termini di innovazione, efficienza e semplificazione dei processi. Per questo il Chief information Officer (CIO) risponde di norma direttamente all’amministratore delegato.

 

Quali competenze deve avere?

Proprio per la sua centralità nel business, il CIO deve possedere il giusto mix di competenze funzionali e logiche, manageriali e organizzative. In particolare, per quanto riguarda le competenze tecniche più importanti, la direzione strategica dei sistemi informativi richiede conoscenze ambiti critici fra cui sicurezza informatica, cloud, big data/business intelligence, architetture di sistemi, project management, gap analysis. Altrettanto importanti sono, per questo ruolo, soft skills quali: leadership, abilità relazionali, time management, gestione dello stress, flessibilità, problem solving, capacità di ascolto, curiosità e intraprendenza, proattività e adattamento.

 

Come lo si diventa CIO? Come ci si prepara?

Oggi il CIO è tipicamente un professionista in ambito IT con un background nel sistema informativo gestionale, oppure ha un’estrazione di tipo ingegneristico che prova a bilanciare con le richieste del business digitale. Gli attributi chiave che deve avere il CIO del domani sono la capacità di assicurare un forte allineamento tra business e IT, una propensione alla velocità e l’agilità nel riadattare il business in business digitale e, infine, la capacità di essere influenti a livello del consiglio di amministrazione.

 

Il CIO è una responsabilità che troviamo nelle aziende più strutturate. Quando, a suo avviso, una PMI dovrebbe decidere di dotarsi di questa competenza interna?

Sempre! Se si vuole che l’azienda evolva e possa adattare sé stessa e il business alle nuove tecnologie, ai nuovi mercati e alle nuove tendenze. Il CIO rappresenta il centro stella di molti processi aziendale.

 

Che cosa ci può raccontare sulla collaborazione con altre funzioni aziendali? Va sempre tutto liscio?

Ha colto nel segno: è il centro stella dei processi aziendali. Io personalmente preferisco ascoltare i miei colleghi e conoscere i loro punti di vista, che spesso non coincidono con il mio, perché di estrazione differente, e poi mi piace molto trovare la “soluzione” alla richiesta o al problema. Secondo me è solo una questione di modi e tempi. Spesso un profilo troppo tecnologico ha difficoltà a relazionarsi con gli altri. Spesso vedo grandi professionisti dell’IT che, rapportandosi ad altri, usano molti termini tecnici e rendono incomprensibile il discorso. Questo è ciò che di peggio possiamo fare: non farci comprendere e far demoralizzare chiunque sia un nostro riferimento a cercare altrove le soluzioni o le innovazioni da inserire in azienda.

 

Sulle pagine di questa rivista abbiamo parlato spesso di trasformazione digitale. Oggi parliamo anche di transizione verso la sostenibilità. Quali sono le sfide per il CIO in questo contesto?

La sostenibilità è una bellissima parola, a volte molto abusata. Io credo che potremo essere sostenibili in diversi modi. Molti guardano ad esempio alla sostenibilità energetica dei data center o dei centri di elaborazione dati di ogni azienda. Questo è giusto, ovviamente. Ma perché non parliamo mai di “sostenibilità delle persone”?

Che cosa intende?

Penso che nell’IT si debbano valorizzare le risorse umane del proprio paese o regione di appartenenza. Bisogna dare la possibilità a chi lavora nell’IT di rimanere nella propria terra e lavorare in modalità agile o smart, ad esempio. Perché non sfruttiamo le risorse “locali” o “nazionali” prima di andare a guardare le soluzioni o le consulenze estere?

Ci racconta perché è nato Il CIO Club, di cui lei è Presidente e Fondatore? Quali sono le sue principali attività?

Il CIO Club Italia raggruppa i migliori professionisti del settore che gestiscono i dipartimenti IT. Siamo un’organizzazione che nasce con l’obiettivo di permettere ai professionisti IT e ai manager di condividere informazioni e confrontarsi. Puntiamo a sviluppare un network che ci permetta di dare un riconoscimento al ruolo e a realizzare finalmente un’entità verticale sia sul territorio nazionale che orizzontale sulle PMI italiane. Ci sono in realtà altre associazioni, che tuttavia raggruppano soprattutto aziende di tipo “enterprise”. Noi vorremmo essere lo specchio dell’Italia, che per oltre il 90% è composta per l’appunto da PMI.

 

Molto spesso le PMI fanno fatica a sostenere l’acquisizione di un CIO, e spesso forse non hanno necessità di un CIO a tempo pieno. Lei che cosa ne pensa?

È corretto. E credo che sarebbe utile pensare alla possibilità di figure “condivise” fra più aziende.

Uno shared CIO?

Più o meno.

 

Un’ultima domanda. Ci ha raccontato che i CIO provengono da background diversi e si trovano ad affrontare sfide che chiedono competenze specifiche e allo stesso tempo ampie. Spesso i job profile dei CIO dipingono dei “superman” con mille poteri, e talvolta con lo stesso job title si disegnano ruoli anche abbastanza diversi fra loro. Che cosa ne pensa?

Condivido pienamente. Ed è proprio su questo presupposto che, come CIO Club, abbiamo ideato e contribuito a costruire un’iniziativa – partita proprio in questo mese di marzo – di cui siamo molto fieri. Si tratta di un percorso formativo che punta alla certificazione delle competenze della figura del Manager IT. Un’azione che ci vede uniti ad altre associazioni del settore e Federmanager.

 

Costruire tutti insieme l’identikit degli, e delle, IT Manager del futuro, quindi.

Certo, Siamo convinti che ce ne sia bisogno e che lavorare uniti aiuti anche a superare il modo di percepire, e spesso percepirsi, eccessivamente individuale degli IT manager.

Pasquale Testa

CIO con 22 anni di esperienza nell’IT, 8 nelle Telecomunicazioni, 13 in ambito Retail e Wholesale per vari marchi tra cui Camomilla Italia, Alcott, Gutteridge, Frankie Morello Milano. Dal 2019 nella GDO con Sole365 e La Speseria, soci del gruppo SELEX.

La carriera di Pasquale Testa è iniziata come formatore per corsi di informatica, poi programmatore in vari linguaggi, sistemista, esperto di reti e responsabile IT e infine CIO. Si è specializzato in semplificare le infrastrutture, i costi e nella digitalizzazione dei processi.

È stato qualificato dal MISE come Innovation Manager e ha ottenuto da poco la certificazione IMS 56002 Advisor. Nel 2019 ha fondato il CIO Club Italia (www.cioclubitalia.it) di cui sono attualmente il Presidente

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