Implementare progetti di IoT in fabbrica significa partire dall’analisi dei bisogni e delle inefficienze. Solo così diventa possibile estrarre valore dai big data
Si fa presto a dire valorizzazione dei dati aziendali. Spesso le aziende, specie le più piccole, non sanno bene né come né quanti dati estrarre, e le difficoltà si complicano quando si tratta di gestirli e ottenere informazioni utili. Da dove deve partire un’azienda per affrontare questo insieme di attività? Anzitutto dalla consapevolezza. A mio parere c’è stato un errore comunicativo, negli ultimi anni, legato all’immagine dei dati come “petrolio del nuovo millennio”. Si tratta di un’immagine parzialmente falsa perché acquisire i dati senza avere idea dei problemi che si vogliono risolvere non è un’operazione sensata. Per tutte le aziende, e in particolare per le PMI è necessario, come primo passo, andare a identificare i bisogni in termini di efficientamento e efficacia dei processi e della produzione. Una volta stabiliti i bisogni si possono formulare ipotesi sulle sorgenti delle inefficienze e solo a quel punto il dato diventa la base sulla quale verificare le ipotesi. Questo approccio fa risparmiare tempo e denaro, perché acquisire tutti i dati da tutti i macchinari e asset industriali richiede grandi investimenti, mentre è molto più ragionevole partire da un sottoinsieme di dati individuati a partire da problemi specifici. Il 70% dei progetti di IoT fallisce per difficoltà nell’integrazione con i sistemi aziendali esistenti e il 30% invece per difficoltà nell’integrazione a livello di fabbrica. Si tratta, in questi casi, di progetti enormi che durano molto tempo e sono stati pensati senza una pianificazione realmente sostenibile.
Per le piccole e medie imprese, in particolare del manifatturiero, vale la stessa logica: che senso ha acquisire dati per, poniamo il caso, cinque anni consecutivi in attesa di avere un sistema di intelligenza artificiale funzionante al sesto anno? Non molto. Possono ambire certamente a portare intelligenza artificiale e machine learning in azienda come nel caso della manutenzione predittiva, ma ritengo che sia più utile concentrarsi su cose più semplici e raggiungibili come per esempio la manutenzione condizionale. La manutenzione condizionale va oltre la classica manutenzione a calendario periodica, analizzando in tempo reale i dati della macchina e, date le specifiche della macchina, se nota segnali che si avvicinano alle soglie di allarme, avverte il manutentore. Non stima in modo “magico” il blocco, ma invia un allarme che viene verificato dall’operatore. Si tratta di un cambio di paradigma impressionante: per un’azienda che ha 200 macchine produttive, di cui 100 di servizio, aprire un’interfaccia tutte le mattine e vedere quali sono le 10 pompe che vibrano troppo è un risparmio importante. Ma è anche un investimento per il futuro: se si identificano i dati rilevanti e si aggiungono le note dell’operatore, in 3 anni (o forse meno) di raccolta sarà possibile addestrare un algoritmo in grado di fare manutenzione predittiva grazie all’AI.
Gestione dei processi e della produzione: un’integrazione possibile
Quando parliamo di dati parliamo anche di integrazione fra le tecnologie IoT con i sistemi di gestione dei processi aziendali e della produzione. Qui le sfide e le opportunità sono molte. Attualmente il mondo dei software gestionali si divide in due grandi tipologie: da una parte abbiamo sistemi molto complessi ed eterogenei (come SAP, Microsoft dynamic 365, e altri ERP…), dall’altra abbiamo i piccoli software specifici per particolari settori produttivi o casi specifici che sono spesso sviluppati da piccole software house locali. Nel primo caso il tema dell’integrazione è complesso ma viene reso possibile dal fatto che queste aziende si appoggiano a una rete di partner enorme e la soluzione, in fondo, si trova sempre, perché il partner è interessato a customizzare il sistema per il cliente. Diverso è il discorso per le piccole realtà, che forti di una posizione di mercato consolidata per il loro settore, hanno innovato poco e si trovano oggi con software spesso obsoleti ma soprattutto con un approccio chiuso che tende a renderli restii all’integrazione con altri sistemi. Il modello di business basato sul lock-in del cliente oggi fatica a resistere proprio perché la complessità è aumentata e non si può essere esperti in tutti i campi, dall’IoT alla cybersecurity, ai sistemi gestionali. L’unico approccio che resiste a questa complessità è appunto l’integrazione con sistemi diversi. Diversi analisti sostengono che il futuro dei software gestionali è basato su piattaforme integrate fra di loro, ma finché le piccole software house locali non entreranno in quest’ottica rischieranno di essere loro stesse uno dei principali colli di bottiglia per la crescita dei loro clienti.
Intelligenza artificiale per l’industria: AIoT
Le strategie data driven si basano sempre più spesso su algoritmi di AI. In campo industriale si comincia a parlare proprio di AIoT (AI+IOT). Una delle applicazioni più interessanti riguarda la valutazione delle fasi di lavorazione dei prodotti. Un tempo la procedura era quella dei “Tempi e metodi”: si misurava a mano quanto tempo occorreva per ciascuna operazione e poi si studiavano i risultati. Oggi l’acquisizione dati dai macchinari industriali si può fare in tempo reale, in automatico e per ciascun pezzo prodotto. In questa maniera si può studiare l’efficienza produttiva dei vari prodotti, dei macchinari, dei turni, delle stagioni, degli stabilimenti e così via, il tutto in tempo reale e con report generati automaticamente ogni giorno. Si possono addestrare sistemi di AI che da un lato, grazie agli algoritmi di intelligenza generativa, producono report in automatico, dall’altra possono avvertire in caso di complicazioni o guasti. La direzione, in ogni caso, è quella di un’AI a supporto delle decisioni industriali, non certo alla guida della fabbrica. Sono convinto che in molti stiamo sognando il Chat GPT industriale a cui chiedere, con il nostro linguaggio naturale, come sta andando la produzione o dove sono le inefficienze. A breve avremo sistemi in grado di darci una visione generale sulla produzione, sui consumi e sulle inefficienze che ci consentiranno di risparmiare molto sia sull’energia che sull’utilizzo delle materie prime. Esistono già dei casi studio di aziende che sono state in grado di risparmiare fino al 40% dei costi dell’energia cambiando il mondo in cui organizzavano la produzione: un risultato incredibile a fronte di investimenti contenuti e tempi decisamente ridotti.
Quale direzione
L’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano ha realizzato un indice di maturità denominato “Data Strategy Index”. Dai dati del report sul 2022, diffusi recentemente, emerge che solo il 15% delle grandi aziende italiane può dirsi “avanzato”, mentre il 30% viene definito “intraprendente”, il 22% “prudente” e il 33% “immaturo” o “ai primi passi”. Ritengo corretta questa analisi, che comunque annovera un complessivo 45% nel campo dei “positivi” e orientati, ma la vedo applicata alle medie e grandi imprese. Al contrario, i numeri per le PMI sono drammaticamente diversi. Nelle aziende ci sono ancora i fogli di carta, le più evolute usano i barcode come strumento di tracciatura della produzione, e soprattutto non c’è un sistema di analisi in tempo reale. Oggi i dati vengono processati a fine anno, quando c’è da fare il bilancio, o a trimestre, nelle realtà più evolute. La realtà è che le PMI, per rimanere competitive, hanno bisogno di report al massimo settimanali, in modo da avere un’idea chiara, con indicatori chiari, di come sta andando la produzione. Altrimenti si perde il contatto con la realtà e non ce lo possiamo permettere. La situazione geopolitica mondiale ci porta a credere che molta della produzione che negli anni passati è stata delocalizzata fuori Europa possa rientrare nei prossimi anni, ma perché questo accada dobbiamo essere in condizioni di dare alle aziende che vogliono riportare qui la produzione strumenti per produrre in maniera competitiva. Solo investendo in tecnologie a supporto dell’efficientamento e della qualità si può restare competitivi sul mercato. Bisogna alzare il livello della qualità perché l’ideologia del Made in Italy non vale più: il know-how non è rimasto appannaggio nostro. I nostri competitori internazionali hanno meno vincoli dal punto di vista ambientale, dei diritti dei lavoratori, di sicurezza, di rapporto con il territorio, il che significa che hanno costi molto più bassi. L’unico modo per resistere è produrre di più a parità di tempo. E l’efficienza si può aumentare solo con strumenti di supporto alle decisioni, settati con parametri obiettivi e basati su dati certi. Lo scorrere del tempo non è assoluto e quello che, fino a ieri, succedeva nell’arco di un ventennio, oggi accade in qualche anno. “Si è sempre fatto così” è una massima che ha funzionato a lungo nel nostro Paese, ma oggi non funziona più. Abbandonare questa logica è una forma di coraggio necessaria che gli imprenditori sono chiamati ad avere.