10/02/2022
L’Internet delle cose può essere un potente alleato della sostenibilità a patto che venga progettato seguendo un nuovo modello
“Come fare di più con meno risorse?”
È una delle domande che caratterizzeranno lo sviluppo tecnologico del prossimo decennio. Nel campo dell’Internet of Things (IoT) il tema della sostenibilità è in gran parte già implicito nelle sue applicazioni, ma non sempre. La connessione fra mondo fisico e digitale infatti, oltre alla possibilità di raccogliere, elaborare e conservare grandi quantità di dati, è sempre più concreta ma si accompagna a un gran consumo di materie ed energia.
Verso quale direzione
Nel 2018 il World Economic Forum ha redatto una serie di linee guida per la sostenibilità delle applicazioni IoT, nell’ottica di formare un sistema compatibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile assunti dall’ONU, ma anche di orientare la ricerca stessa verso questa direzione. L’intera società è chiamata a fare la propria parte. Alle istituzioni e ai governi
si chiedono infrastrutture adatte e incentivi strutturali per rendere prioritari i criteri di sostenibilità anche nella fase di progettazione. Ma si domanda anche di semplificare il quadro normativo, di coinvolgere gli esperti e di stabilire in anticipo regole precise sulla governance dei dati che verranno generati. Agli stakeholders privati – aziende, industrie – si raccomandano innanzitutto partnership solide e collaborative per evitare frammentazioni, così come modelli di business fessibili e soluzioni intersettoriali.
A tutti è chiesto di abbracciare una cultura della sostenibilità, non solo nell’immagine aziendale ma nella stessa capacità di attrarre talenti e competenze. Infne, in ogni progetto devono essere chiaramente identificati gli obiettivi di sviluppo sostenibile che si intendono perseguire, che devono anche essere incorporati nelle scelte di marketing. Su 640 progetti IoT analizzati nella fase precedente alla redazione delle linee guida è emerso che questo approccio non penalizza, ma anzi presenta potenzialità anche per lo sviluppo commerciale. Il 75% dei progetti si focalizzava infatti sugli obiettivi più vicini alle applicazioni commerciali e industriali, come quelli legati a manifattura, infrastrutture, città, energia, salute e benessere, produzione primaria e consumo responsabile.
È in questo ambito che troviamo i progetti di monitoraggio dell’aria nelle smart city, l’agricoltura di precisione, la telemedicina, la domotica, l’Industria 5.0 e le varie applicazioni che ci hanno catapultato così rapidamente nel futuro.
Oggi non solo la pandemia ha imposto direzioni precise all’evoluzione dell’IoT, ma ha determinato anche un’impennata alla sua diffusione: ogni secondo nel mondo 127 nuovi dispositivi si collegano a Internet per la prima volta. Lo afferma una ricerca della società internazionale di consulenza McKinsey Digital, che ha anche stimato il valore di mercato globale di prodotti e servizi IoT nel 2030: dai 5 ai 12 trilioni di dollari. Mentre secondo il portale tedesco Statista, il numero di dispositivi connessi a Internet delle cose in tutto il mondo sarà di 38,6 miliardi entro il 2025.
Calcoli terrestri, consumi spaziali
Da qui l’insistenza sulla domanda iniziale: come si può fare di più con meno risorse? Partiamo dalla struttura fondamentale odierna dell’IoT: un sensore, un dispositivo connesso alla rete, un software per l’elaborazione dei dati, un archivio. È necessario che ciascuno di questi elementi venga ottimizzato e progettato in modo più sostenibile. La ricerca sta andando in questa direzione, in particolare quella svolta all’IMM, l’istituto del CNR dove si studiano e sviluppano sensori, nuovi materiali e sistemi di monitoraggio sostenibili. Qui l’obiettivo è proprio quello di avere prodotti e soluzioni più performanti, con elevata sensibilità e selettività. Ma anche con nuove funzionalità, come la capacità di integrare un’alimentazione locale, bassi costi e consumi e la
possibilità di essere riciclati e riutilizzati.
Guarda invece alla riduzione dei consumi energetici la ricerca sul rapporto tra l’intelligenza artificiale (AI) e l’IoT. Da un lato l’AI
trasforma i dati raccolti dai sensori in conoscenza, mentre dall’altro, l’IoT facilita lo scambio dati in tempo reale e quindi il valore
delle informazioni restituite dagli algoritmi di AI. La prospettiva è quella di una rete di servizi intelligenti veloci, con informazioni accurate in tempo reale per utilizzare le risorse in modo efficace, migliorare l’efficienza dei processi e ridurre gli sprechi. Avveniristico, ma a che costo? Si stima che per addestrare GPT-3, il potente modello linguistico della OpenAI, sia stata consumata tanta energia da lasciare un’impronta di carbonio pari a quella di un’auto guidata dalla Terra alla luna e ritorno. Insostenibile.
Edge AI, dati e calcoli alla fonte
Una soluzione possibile è quella offerta dall’Edge AI. La maggior parte delle attuali applicazioni IoT si basano su sistemi in Cloud, che consentono di centralizzare l’archiviazione dei dati, l’elaborazione, il monitoraggio e l’interazione da remoto. I limiti di questo approccio sono però molteplici: il Cloud è considerato vulnerabile, la sua manutenzione può compromettere la funzionalità dell’intero sistema e può facilmente sovraccaricarsi. A fronte di un numero sempre maggiore di dispositivi connessi infatti, aumenta anche il periodo di latenza – ovvero l’intervallo fra input e output nella comunicazione – che rappresenta un grave problema per i sistemi IoT in tempo reale.
Qui interviene quel modello di calcolo distribuito, chiamato appunto Edge AI, nel quale l’elaborazione dei dati avviene il più vicino possibile alla fonte stessa. Con questo nuovo paradigma sono state sviluppate soluzioni specifiche, come il “fog computing”, o il “Cloudlet”, che consentono di elaborare le attività più complesse in loco, senza il trasferimento di grandi dati, con la possibilità
di conservare in Cloud solo quelli più rilevanti. E quindi ridurre i consumi.
“Migliorare l’efficienza e ridurre gli sprechi”
“Ancora una volta è il modello che deve cambiare, non il clima”.
Un nuovo modello
Oltre alle risposte tecnologiche però, occorre disinnescare a monte anche gli errori dettati dal nostro modo di pensare umano, quindi parziale. Nel campo dell’AI il problema ha risvolti enormi, con conseguenze dirette anche sulla sostenibilità dei prodotti e dei processi. Fino a oggi l’obiettivo principale della ricerca è stato quello di creare nuovi algoritmi o rendere quelli esistenti più precisi, per elaborare maggior quantità di dati all’interno di sistemi sempre più complessi.
Al Sustainable Development Impact Summit, che si è tenuto a Ginevra lo scorso settembre, è emersa con chiarezza la problematica relazione tra accuratezza e complessità del modello algoritmico. La ricerca della precisione infatti continua ad essere prioritaria rispetto allo sviluppo di modelli migliori dal punto di vista dell’efficienza delle risorse, o del tempo di elaborazione. Se la sostenibilità richiede un approccio olistico e multidimensionale, hanno sostenuto diversi scienziati in quella occasione, è chiaro che occorre cercare un compromesso tra l’accuratezza e le emissioni di gas serra, in tutte le fasi del processo.