martedì 06 Mag, 2025

Circolarità, i risultati delle imprese italiane

La nota del Centro Studi di Confindustria tratteggia un quadro positivo circa l’impegno e i risultati raggiunti dalle imprese italiane sul versante della circolarità

L’italia è uno dei paesi più sostenibili in Europa, grazie al percorso intrapreso dalle nostre imprese verso una vigorosa spinta nella direzione dell’introduzione di processi di economia circolare. Lo scenario è descritto accuratamente in una nota del Centro Studi di Confindustria pubblicata a inizio marzo, a firma di Piergiorgio Carapella (Carapella P., “Sostenibilità e circolarità delle imprese italiane”, Nota dal CSC n. 2-20 25) , nella quale si tratteggia un quadro positivo circa l’impegno e i risultati raggiunti dalle imprese italiane sul versante della circolarità e della sostenibilità. Tra i punti toccati dall’analisi ci sono l’intensità delle emissioni, in particolare per quanto riguarda la manifattura. Ma anche la produttività delle risorse, la gestione dei rifiuti e il loro riciclo, il valore aggiunto dell’economia circolare, la capacità di innovazione. 

Il controllo delle emissioni

Proprio a partire dalle emissioni, si può dire che l’Italia tra le economie più sostenibili del G20 e dell’Unione Europea. Nel 2023, l’intensità delle emissioni di gas serra dell’Italia è stata pari a 0,12 kg di CO₂ equivalente per dollaro di PIL (kg CO₂e/$). Questo valore è nettamente inferiore alla media del G20, che è di 0,32. In Europa la Francia e il Regno Unito fanno registrare valori più bassi, entrambi a 0,10 kg CO₂e/$. L’efficienza italiana risulta evidente anche al confronto extra Europa. Gli Stati Uniti, una delle economie più avanzate del mondo, mostrano un’intensità di 0,24 kg CO₂e/$. Ancora più distanti sono le economie emergenti: la Cina raggiunge 0,51, mentre il Sudafrica registra addirittura 0,61.

Secondo l’analisi, l’impegno nella riduzione degli sprechi, la scarsità di materie prime e l’ottimizzazione delle risorse anche in risposta alla crisi energetica del 2022, hanno permesso al sistema industriale italiano di ridurre le emissioni in modo sostanziale. Nonostante l’ampia diversificazione dell’industria italiana, nel 2023, circa il 71,5% delle emissioni della manifattura italiana proveniva da quattro settori: minerali non metalliferi (23,8%), derivati del petrolio (19,0%), prodotti chimici (14,9%) e metallurgia (13,8%). Questi settori rappresentano circa il 15% del valore aggiunto manifatturiero.

Se consideriamo alcuni dei settori più emissivi (metallurgia, prodotti chimici e minerali non metalliferi), l’Italia ha performance di tutto rispetto al confronto con Germania, Francia e Spagna. Nel settore della metallurgia, il nostro paese si distingue per una maggiore riduzione dell’intensità emissiva. Il dato riporta una variazione media annua dal 2008 al 2022 di circa il 3,6% – molto più bassa rispetto alla Francia (-1,0) – mentre Spagna e Germania fanno registrare addirittura un aumento (rispettivamente +0,4 e +2,2). Performance positive si registrano nel settore dei minerali non metalliferi (-3,8) e della chimica (-1,2). Le cifre elaborate dal Centro Studi Confindustria sono basate su dati Eurostat. 

Economia circolare e resiliente

Al centro dell’economia circolare c’è il decisivo superamento dello schema “estrarre-produrre-usare-scartare”. L’obiettivo è quello di andare verso un sistema che, a partire da risorse naturali limitate, cerca di modificare i processi in modo da estendere la durata del ciclo di vita dei prodotti. Inoltre, punta al riciclo, alla rigenerazione dei materiali e alla riduzione al minimo del rifiuto. 

L’Unione Europea sta investendo molto per trasformare l’economia del vecchio continente in modo che sia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più moderna e competitiva. Il piano denominato Green Deal (sebbene oggi a rischio) risponde a questi obiettivi. La Commissione Europea ha adottato una serie di proposte per trasformare le politiche UE in materia di energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. Le misure messe in campo dall’Europa comprendono leggi e incentivi a sostegno della transizione e verso l’economia circolare.

In questo quadro, il report di Confindustria sottolinea come l’Italia abbia avviato una serie di iniziative per ridurre la dipendenza dalle materie prime vergini e promuovere l’uso efficiente delle risorse. Inoltre viene evidenziato il ruolo dell’economia circolare nel migliorare la resilienza economica, soprattutto in tempi di crisi. «Alcuni studi – si legge nel report – sottolineano come una transizione verso la circolarità possa ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali e mitigare i rischi legati alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In particolare, alcuni settori a più alta intensità di utilizzo di materiali potrebbero beneficiare enormemente dall’adozione di pratiche circolari, non solo in termini di riduzione dell’impatto ambientale, ma anche attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e modelli di business più sostenibili». 

Piergiorgio Carapella
Piergiorgio Carapella

L’Europa a due velocità

Al tempo stesso l’analisi di Confindustria rileva come alcuni studi evidenzino il fatto che sul fronte della circolarità, esista un’Europa a due velocità. Pur essendo in un contesto di importanti miglioramenti in generale, si assiste a una differenza tra i paesi che possiamo definire come appartenenti alla “Vecchia Unione” e i paesi dell’Europa Orientale e centrale. In pratica Germania, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Spagna e Italia sono avanti sull’adozione di pratiche di economia circolare. Si tratta dei paesi con un alto livello di sviluppo economico. Paesi che prima di altri hanno realizzato l’importanza di adottare misure che in un qualche modo ponessero un freno all’eccessiva produzione di rifiuti, all’inquinamento e allo sfruttamento di risorse che non sono infinite. Per i paesi che sono rimasti più indietro sulla circolarità, invece, si può dire che questo accade in relazione a diverse strategie economiche intraprese e a livelli di sviluppo socio economico diversi. 

Per quanto riguarda l’Italia, la pratica circolare più utilizzata è il riciclo. Circa il 39% delle imprese utilizza materiali riciclati, soprattutto nella manifattura. Gli studi indicano che le aziende adottano pratiche circolari come l’uso di materiali derivati da scarti industriali o da fasi post-consumo.

La produttività delle risorse

Un punto di forza delle imprese italiane è la produttività delle risorse. Ovvero la capacità di sviluppare un uso efficiente delle risorse anche in considerazione della scarsezza di materie prime sul territorio. Il nostro paese registra una produttività delle risorse pari a 3,6 euro per Kg. Un dato molto sopra la media europea che è di 2,2 euro per Kg e con livelli superiori anche a Francia e Germania, rispettivamente a 3,2 euro per Kg e a 3,0 euro per Kg. Interessante è anche un altro aspetto rilevato nel report che pone l’Italia tra i paesi più avanti. Si tratta del cosiddetto decoupling , il disaccoppiamento tra la crescita economica e il consumo di risorse. Mentre negli ultimi venti anni il PIL reale del Paese è cresciuto in media dello 0,2% all’anno, il consumo interno dei materiali è diminuito di oltre il 2,5%. 

Sul fronte della gestione dei rifiuti il nostro paese nel 2022 ha prodotto 3212 chilogrammi di rifiuti per abitante. La media in Europa è di 4991, in Francia è di 5076, in Germania di 4604, in Spagna di 2480. Quindi, anche su questo versante siamo tra i paesi più virtuosi. Lo stesso può essere detto per quanto riguarda la performance nel riciclo dei materiali, con il 53,3% del totale di rifiuti urbani che viene riciclato, contro il 49,1% della media UE.

I possibili impatti negativi

Nel report si pone attenzione anche a possibili impatti negativi legati alle pratiche di economia circolare. Per esempio, l’effetto rimbalzo (rebound), che può addirittura arrivare ad annullare gli effetti positivi della circolarità. L’effetto entra in gioco quando la maggiore efficienza che deriva dalle pratiche circolari determina un incremento nella produzione e nel consumo. I materiali riciclati tendono a perdere di qualità nel processo di riciclaggio, per cui possono essere meno competitivi per alcuni utilizzi. Quindi i beni riciclati possono non sostituire del tutto i beni primari, e la domanda di nuovi prodotti resta intatta. Il report sottolinea come «secondo studi recenti per evitare l’effetto rimbalzo, è cruciale che le politiche di economia circolare si concentrino non solo sul riutilizzo dei materiali, ma anche sulla produzione di beni secondari che siano veri sostituti dei beni primari».

Un aspetto su cui l’Italia invece è indietro è la capacità di innovazione. L’analisi del Centro Studi rileva come il numero di brevetti legati al riciclo e all’economia circolare (0,36 brevetti per milione di abitanti) sia inferiore a quello di Germania, Francia e Spagna. Su questo fronte si può fare di più.

Strumenti fiscali per favorire la circolarità

Nella parte finale dell’analisi si fa il punto sugli strumenti più efficaci per per promuovere l’adozione di pratiche circolari. Tra quegli adottati ci sono gli incentivi fiscali e le tasse su materiali vergini. Si tratta di strumenti progettati per ridurre l’uso delle risorse primarie e favorire l’adozione di materie prime secondarie. Si fa un esempio a partire da alcune simulazioni condotte dall’OCSE, per le quali una tassa sui minerali non metalliferi di 4 euro per tonnellata porterebbe a una riduzione del 5% della domanda complessiva di questi materiali entro il 2040. 

Strategie per incentivare l’acquisto di prodotti realizzati con materiali rigenerati, dotati di specifiche certificazioni e/o marchi collettivi, attraverso la riduzione dell’aliquota IVA al 5%, vengono indicate come necessarie. Ma anche il rafforzamento del Green Public Procurement (GPP) e gli acquisti verdi da parte delle PA. Altrettanto utili sono gli incentivi a fondo perduto affinché le piccole e medie imprese possano sostenere i costi di adeguamento agli standard della imminente normativa. Uno strumento utile perché le PMI non sono direttamente obbligate, ma fanno parte della catena di fornitura delle imprese assoggettate alla nuova disciplina EFRAG/CRSD, che richiede alle imprese europee di divulgare il proprio impatto sociale e ambientale.

Si specifica anche che le politiche fiscali non sono sufficienti da sole. Occorre la diffusione di modelli di business circolari che si concentrino sulla fornitura di servizi anziché sulla vendita di prodotti. Ma anche che incoraggino il riutilizzo e la manutenzione, prolungando il ciclo di vita dei beni. Un altro fattore determinante è l’adozione di innovazioni tecnologiche. Tecnologie emergenti come l’Internet of Things (IoT) e, in generale, i processi di digitalizzazione, consentono di monitorare e ottimizzare il recupero dei materiali, migliorando la gestione delle risorse. Non da ultimo, viene messo in evidenza il fatto che il successo dell’economia circolare dipende dall’adozione di un quadro normativo coerente. Un quadro con politiche in grado di incoraggiare l’uso efficiente delle risorse e la riduzione delle emissioni di carbonio.

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