mercoledì 05 Lug, 2023

Al timone della nave, rotta Innovazione 

La figura dell’Innovation Manager è ancora poco diffusa nel nostro Paese, dove incontra una timida accoglienza. Ma è cruciale per governare al meglio le trasformazioni

Siamo nel mezzo di profondi cambiamenti e trasformazioni che stanno riscrivendo completamente il nostro modo di vivere e lavorare. Il trigger di questo cambiamento è il digitale, che ha impresso un’accelerazione senza precedenti all’innovazione e alla trasformazione tecnologica. 

Come presidente della CNA Impresa Donna di Roma, seguo e monitoro con attenzione l’approccio e l’evoluzione di questa transizione in rapporto alle imprese associate. La modalità con cui le aziende affrontano e gestiscono il cambiamento è, infatti, alla base della loro sopravvivenza o del loro insuccesso. La sfida oggi è quella di affrontare la metamorfosi dei mercati con flessibilità, velocità e rischio calcolato. In un contesto così fragile e incomprensibile (B.A.N.I., ovvero Brittle, Anxious, Nonlinear, Incomprensible) il ruolo dell’Innovation Manager è diventato sempre più cruciale.

Chi è l’Innovation Manager?

L’innovation Manager è una figura abbastanza nuova e poco codificata nel contesto italiano, variabile significativamente a seconda dell’organizzazione, ma ben consolidata invece nello scenario anglo-americano. Si tratta di un profilo dedicato alla creazione e alla gestione dell’innovazione in un’accezione più ampia: si va dall’analisi e la reingegnerizzazione dei processi al ripensamento dei modelli di business passando per il change management e l’innovazione organizzativa. Questa figura è una sorta di direttore d’orchestra con competenze trasversali e soft skill in grado di seguire progettazione ed execution di tutte le attività necessarie per la gestione efficace dell’innovazione aziendale.

Quando mi chiedono di definire il mio lavoro da Innovation Manager io dico sempre che “sono la persona che prende per mano gli imprenditori e le imprese per accompagnarli attraverso la trasformazione digitale e l’innovazione del modello di business”. Fino al 2000 l’innovazione in azienda era relegata al settore R&D e l’obiettivo di business era esclusivamente quello di incrementare le performance dei prodotti offerti. Nel nuovo secolo, con la turbolenza dei mercati e lo sviluppo esponenziale della tecnologia è diventato chiaro per tutti che l’innovazione debba uscire dal reparto ricerca e sviluppo e che per gestirla sia necessario adottare un approccio più strategico: da qui la nascita della figura dell’Innovation Manager.

L’innovation manager possiede il giusto mix di competenze di marketing, strategiche, tecnologiche e manageriali tra loro interconnesse e guidate da una buona dose di leadership.

Spesso e volentieri mi viene chiesto quale sia il percorso per diventare Innovation Manager e la mia risposta è sempre una: passione per la strategia e curiosità per la tecnologia. 

Nel mio caso, la strada da Innovation Manager è partita dal settore del marketing strategico. In quasi tutte le situazioni che conosco, questo ruolo è spesso l’evoluzione di differenti profili già presenti in azienda, sia funzionali che di processo.

Cosa fa un manager dell’innovazione? 

Che appartenga ad una business unit o sia in veste di consulente, l’Innovation Manager è la persona che si occupa di governare e orientare lo sviluppo innovativo dell’impresa sotto tutti i punti di vista. L’innovazione oggi non è più identificabile solo come sviluppo di un prodotto o di un servizio ma pervade tutti i processi aziendali e si realizza anche come innovazione di modello di business o organizzativa. Quello che però ritengo essere il core business del ruolo dell’Innovation Manager è l’attività di diffusione di una nuova cultura aziendale dell’innovazione: è un enabler che oltre a intuire le innovazioni strategiche lavora sulla cultura, sulle persone e sulla trasformazione del mindset.

Quando un Innovation Manager entra in un’azienda il suo primo obiettivo, in fase di assessment, è quello di studiare attentamente i processi, le funzioni tra le diverse business unit e i rapporti dell’impresa con i differenti stakeholder. L’analisi accurata di queste dimensioni è fondamentale per capire se, e dove, l’azienda abbia necessità di innovare, dove e come si formino i colli di bottiglia, in che modo e secondo che tempi venga gestita la domanda.

I risultati ottenuti saranno anche la base su cui andare a costruire la strategia di change management. È ormai chiaro che qualsiasi tipo di transizione, indipendentemente dal settore, deve partire da un lavoro mirato sulla cultura aziendale e sulle persone. Per esempio, ancora oggi una buona parte delle trasformazioni digitali fallisce perché le aziende tendono a confondere un processo strategico-tattico con quello che  invece è un banalissimo acquisto di tecnologia: la trasformazione digitale, così come l’innovazione, non coincide con l’acquisto di tecnologia! 

Gli step successivi all’analisi e alla mappatura dei processi e al lavoro di change management sono invece focalizzati sulla definizione degli obiettivi e della strategia/tattica con il management. Se da un lato è vero che l’evoluzione aziendale ha visto l’organizzazione funzionale verticale (tipica della fabbrica fordista) cedere il passo alla collaborazione orizzontale e all’ informazione condivisa (tipica dell’Open Innovation) è pur sempre necessario che le indicazioni su come procedere e sugli obiettivi da raggiungere, arrivino dal management.  

C’è da considerare, poi, che un’ulteriore evoluzione relativamente alla gestione dell’innovazione è arrivata con il rilascio della UNI ISO 56002:2019. Le linee guida contenute in questo documento agevolano il lavoro dell’Innovation Manager e consentono un approccio sistemico all’innovazione su più fronti. La UNI ISO 56002 rappresenta una guida per lo sviluppo, l’implementazione, il mantenimento e il miglioramento continuo di un sistema di gestione dell’innovazione: fornisce infatti un approccio PDCA (Ciclo di Deming) per la gestione dell’innovazione che rappresenta una garanzia, per chi lo applica, di strutturare il processo in maniera efficace così da generare valore per l’impresa. Ed è proprio nella figura dell’Innovation Manager che si trovano competenze e peculiarità necessarie per calare a terra le indicazioni della UNI ISO 56002. 

Diffondere cultura d’impresa, aprirsi ai cambiamenti

Purtroppo, nel contesto imprenditoriale italiano, il ruolo e l’importanza dell’Innovation Manager sono temi ancora poco compresi e valorizzati. La mancata diffusione di questa professionalità è legata anche alla natura stessa del nostro tessuto imprenditoriale: in Italia è composto al 95% da microimprese, al 4% da PMI e circa all’1% da grandi imprese. Le microimprese non sono strutturate e, spesso e volentieri, tutte le funzioni sono portate avanti dall’imprenditore. Queste micro realtà, pur avendo delle performance interessanti, sono gestite con scarsa consapevolezza di cosa sia una cultura e un mindset aperto all’innovazione. Questo comporta, da un lato, che il ruolo dell’Innovation Manager non venga preso in considerazione, dall’altro che non se ne conoscano neanche le potenzialità e, a volte, che ci sia la presunzione da parte della proprietà di poter fare tutto da sola in virtù del fatto che “si è sempre fatto così!”.

Quella che ho descritto è la situazione più comune che un manager dell’innovazione oggi deve affrontare, certo con variazioni importanti a seconda della regione e del settore di riferimento. Sarebbe necessario, in questo preciso momento storico, con le progettualità del PNRR ancora aperte, poter contare sul supporto delle istituzioni per creare azioni e progetti atti a favorire la diffusione di questa figura professionale, realmente indispensabile per portare le imprese nel futuro. Oggi le aziende hanno bisogno di essere guidate e messe nella condizione di semplificare, alterare, snellire i propri processi al fine di poter innovare i modelli di business, così da offrire una customer experience rilevante e poter rispondere efficacemente e in modo proattivo alle reali esigenze del mercato.  

Mi auguro che l’evangelizzazione costante, da parte di chi come me affronta giornalmente questa sfida, possa portare presto ad azioni significative da parte di chi amministra e indirizza le risorse (leggi Ministero del Made in Italy) e ad un messaggio diverso che rafforzi la consapevolezza che solo la cultura può essere il driver alla base del cambiamento del nostro paese.

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