lunedì 28 Feb, 2022

Turismo e AI: Ecco l’ospitalità post-umana

Intervista a Simone Puorto

L’intelligenza artificiale e l’automazione (intesa come insieme dei processi che non necessitano, o quasi, di interazione umana) sono ormai utilizzate dalla maggior parte delle imprese di tutti i settori, mentre sono ancora poco presenti in quello dell’ospitalità, almeno in Italia. Le motivazioni sono probabilmente da rintracciare nel fatto che l’investimento tecnologico continua ad essere percepito come una perdita di tempo, quando è proprio il tempo che andrebbero a risparmiare.

In che modo, lo spiega Simone Puorto nel suo ultimo libro “Hotel distribution 2050 – (Pre)visioni sul futuro di Hotel Marketing e distribuzione alberghiera” edito da Hoepli. Si tratta del primo libro italiano dedicato all’evoluzione dell’offerta alberghiera, un testo in grado di tratteggiare gli scenari futuri in modo da poter guidare gli albergatori che vogliano comprendere e utilizzare al meglio le nuove tecnologie.

Già autore di 4 besteller sull’hotel marketing, giornalista, podcaster, consulente, docente MBA è anche fondatore e CEO dello studio di consulenza Travel Singularity.

Come è nato il suo interesse per l’intelligenza artificiale?

Credo di averlo sempre avuto. Sono sempre stato appassionato di certa fantascienza distopica à-la-Philip K. Dick fin da quando ero bambino, per poi passare al filone cyberpunk americano e a varie produzioni giapponesi.. Fuori dalla letteratura, invece, farei risalire l’interesse a una data precisa: l’11 Maggio 1997. Appena diciottenne e allettato a causa del morbillo, vidi in TV il Grande Maestro Kasparov arrendersi contro Deep Blue, dopo appena 19 mosse. Recentemente, in un tweet, l’ex campione ha ammesso di essere stato “il primo lavoratore il cui impiego è stato minacciato da una macchina.” Da lì, l’AI è stata sempre una vera ossessione per me.

 

In che modo incide sull’hotel marketing?

Secondo un recentissimo report di Mordor, il trading algoritmico rappresenta già circa il 60-73% del trading azionario complessivo degli Stati Uniti. E parliamo di un mondo la cui complessità è esponenzialmente maggiore rispetto a un settore, tutto sommato, “semplice” e privo di troppe variabili come quello dell’hospitality. Pensare di poter continuare a operare in ambito alberghiero senza un minimo di automazione significa, a mio avviso, soffrire di miopia imprenditoriale. Non solo le macchine sono migliori di noi nel ragionamento probabilistico o nello scovare pattern troppo sottili per essere individuati dagli umani, ma esse non hanno pregiudizi. Così l’AI può essere applicata in tutti i settori dell’hotel marketing: dal conversazionale (chatbot), al revenue management, dall’advertising al web design. Non ci sono davvero limiti, se non in termini di tecnoaccettazione. Credo dovremmo cominciare a scendere a patti con la possibilità che il nostro destino evoluzionistico, come specie, sia quello di divenire ridondanti, quantomeno in ambito lavorativo. Ecco perché, nel libro, parlo anche di argomenti particolarmente controversi ma come mai attuali, come reddito universale e tassazione su robot e AI.

 

Quali sono a suo avviso gli strumenti imprescindibili per gli operatori del settore alberghiero?

Dipende molto dall’entità delle strutture e dai propri valori aziendali. La tecnologia è cambiamento, il cambiamento fa paura, ergo per sillogismo la tecnologia fa paura. Tuttavia essa fa paura perché non la si comprende, in quanto si cerca di interpretarla con schemi mentali pregiudiziali o, ancora peggio, la si subisce acriticamente. D’altra parte, il solo fatto che una tecnologia sia adottabile non coincide necessariamente con il bisogno di adottarla. L’approccio non dovrebbe essere né tecnofobico né tecnofilo, ma di semplice valutazione critica sulla base del proprio prodotto. E, soprattutto, si deve rimanere aperti a cambiare rotta qualora sia necessario, ma non esiste un approccio one-size-fits-all.

 

Ha senso la presenza di una struttura ricettiva sui social? Se sì quali?

Le risposte sono dipende e dipende. Di norma, i social hanno una conversione prossima allo zero in ambito hospitality. Questo, più che altro, a causa del modello di attribuzione più diffusamente utilizzato nel marketing, ovvero il last-click. Se si implementa una campagna social pensando di aumentare la conversione, si rimarrà delusi. I social sono un canale top funnel e giocano sicuramente un ruolo, ma solo durante i primi touchpoint con il brand. Purtroppo, molte strutture con budget ridotti non possono investire così in alto nel funnel, quindi in questi casi la presenza social deve essere valutata con cautela. Seconda domanda: quali? Dipende dalla tipologia di struttura: Facebook per chi ha una clientela più agée, Instagram per brand luxury o con ospiti sotto i 40-45 anni, TikTok per strutture budget, resort low-cost o con clientela particolarmente giovane.

 

Nel suo ultimo libro parla del concetto di “ospitalità post-umana”. Può spiegare meglio il concetto?

Il futuro è irreversibile e considerarlo come utopico o distopico dipende solamente da noi. I sentimenti umani verso la tecnologia sono ambivalenti e cambiano considerevolmente in base alle sue applicazioni pratiche. In campo medico, per esempio, essa è accolta quasi all’unanimità come un vero e proprio deus ex machina: agevola i medici a diagnosticare patologie con maggiore precisione e aumenta l’accuratezza durante le procedure chirurgiche più delicate. Tuttavia, nell’ospitalità, anche la minima allusione alla tecnologia viene percepita come un’eresia. È mia opinione che questo sentimento sia causato da un pregiudizio quasi atavico che gli esseri umani hanno nei confronti di tutto ciò che è artificiale. Grazie all’ ospitalità post-umana, in realtà gli albergatori, finalmente liberati da compiti complessi e non scalabili, potranno tornare all’essenza della loro professione: prendersi cura dei propri ospiti. Ti faccio un esempio: immagina la cassa di un supermarket: quale valore aggiunto può un cassiere umano dare alla nostra esperienza d’acquisto, soprattutto se esso si limita allo scansionare i codici a barre delle nostre provviste? Il fatto che ci sia una persona, piuttosto che una macchina, dall’altro lato del bancone, fa davvero la differenza? Nella maggior parte dei casi no e avrebbe sicuramente più senso utilizzare il materiale umano in aree a esso più congeniali. Sostituisci il cassiere con un receptionist e capirà cosa intendo.

Scopri subito la nuova edizione di

Tecnologia & Innovazione