Come agire con successo su persone native analogiche per trasformare le imprese
In questo momento storico, in cui il nostro sistema paese è chiamato a delineare piani di sviluppo per poter accedere alle ingenti risorse economiche messe sul tavolo dall’Europa, nei discorsi di molti esponenti della politica e del mondo imprenditoriale ricorrono continui riferimenti ai temi di Industria 4.0 e di trasformazione digitale.
Si parla tantissimo delle nuove professioni che le due ondate di cambiamento introdurranno e di come il sistema educativo debba strutturarsi per lavorare sulle nuove generazioni al fine di creare le nuove competenze richieste, senza però entrare nel merito delle complessità gestionali che la digitalizzazione comporta.
Non a caso, nel corso dell’ultimo World Manufacturing Forum qualche imprenditore ha sollevato un problema non marginale: così pensando e facendo, non si rischia di dimenticare le centinaia di migliaia di persone over 40 che nelle PMI lavorano – e che dovranno lavorarci per i prossimi vent’anni – molte delle quali dovranno confrontarsi con modalità del tutto nuove di operare potendo contare su una cultura e una preparazione molto poco digitale e una scarsa propensione al cambiamento?
In buona sostanza, c’è un universo composto in maggioranza di “nativi analogici” che bisogna far interagire in maniera virtuosa con il mondo dei “nativi digitali” che saranno la maggioranza domani.
Il tutto si va poi ad innestare in un contesto in cui, da quanto emerge dal rapporto 2020 del centro di ricerca MET, sottocapitalizzazione e sottomanagerializzazione delle PMI continuano a essere rilevanti e influenzano i processi in atto. A ciò si aggiunga che il Covid-19 sta incidendo non solo sulle imprese più fragili, ma soprattutto su quelle che avevano realizzato progetti di sviluppo senza aver ancora consolidato la propria posizione economica e finanziaria. E sul lungo periodo, l’abbandono di strategie di sviluppo, soprattutto di progetti di ricerca, potrebbe avere effetti negativi, che adesso non sono ancora visibili.
Senza considerare l’allarme che, ad esempio, Confindustria e CERVED hanno lanciato circa il possibile default di molte PMI, che oggi hanno rating non critici.
A livello micro, le aziende si trovano di fronte non ad una nuova tecnologia, ma ad una meta-tecnologia del tutto orizzontale e penetrante in qualsiasi loro attività. Tant’è che si parla spesso di Digital Disruption piuttosto che di Digital Transformation, anche qui rischiando contrapposizioni di tipo ideologico, specie per quanto concerne il possibile impatto sui lavoratori.
Quali le strade percorribili per gestire la pervasività, evitare il rischio della Digital Disruption e trasformare la Digital Transformation in Digital Evolution.
La prima si chiama progettualità digitale, che significa valutazione attenta ed oggettiva dei rischi e dei benefici dei diversi percorsi di digitalizzazione possibili, evitando la facile trappola del “fare in fretta” privilegiando l’aspetto puramente tecnologico, pensando di affidare la guida del cambiamento a manager di estrazione tecnologica, meglio ancora se nativi digitali, dimenticando quanto la dimensione umana sia rilevante ai fini del successo dell’operazione.
In quest’ottica, va considerata con molta attenzione la complessità progettuale che nasce dal dover agire in sincrono su diverse dimensioni critiche, processi, tecnologie e persone:
- Processi aziendali – tutti i processi che afferiscono al cliente, come il marketing e le vendite, cambiano radicalmente in ottica digitale. Il marketing sta cambiando e le aziende devono cambiare il loro modo di fare marketing. È soprattutto un cambio di cultura, che però va eseguito in tempi rapidi.
- Tecnologia – garantisce opportunità eccezionali, ma va molto più veloce delle aziende: se partiamo oggi con un progetto basato solamente sui Social, rischia di essere obsoleto prima ancora di arrivare al termine. Bisogna pensare che Mobile, Social e Intelligenza Artificiale hanno un effetto combinato su tutti i processi aziendali.
- La trasformazione si realizza attraverso le persone, che sono per lo più “native analogiche”, specie nelle PMI, e vanno valorizzate e fatte crescere. Un bravo leader analogico può consentire di vincere il lato oscuro delle tecnologie che potrebbe derivare da una loro applicazione non sufficientemente meditata. Quasi come la forza in Guerre Stellari: un campo di energia positiva che pervade l’intero cosmo; c’erano i cavalieri Jedi, ma c’era anche il “nero” Darth Vader. Digitale non è necessariamente “bello” per definizione.
In particolare, è necessario avviare percorsi virtuosi per introdurre e accelerare il cambiamento, un più o meno grande progetto che per avere successo deve rispettare alcuni capisaldi:
- Ruolo attivo della proprietà e dei leader nel dare continuo e pieno sostegno, fornendo chiare indicazioni di guida;
- Leader del progetto – serve un E-Leader (magari un temporary manager), non una persona sola al comando;
- Pieno supporto di chi a tutti i livelli gestisce risorse umane, come garante e “collante” per creare l’habitat e l’humus per generare una partecipazione condivisa, motivata, formata e informata per intraprendere con successo il percorso verso la propria evoluzione digitale, anche attraverso un piano di comunicazione, formazione ma anche incentivazione;
- Grande enfasi sulla comunicazione interna, puntando a piccoli risultati subito per generare consenso e partecipazione;
- Non dimenticare mai, che si tratta di un processo “infinito” su cui operare con continuità.
La combinazione tra aspetti progettuali, gestione del cambiamento e carenza di competenze e risorse necessarie a gestire il tutto, fa sì che le PMI utilizzino spesso lo strumento del Temporary Management (TM), preferito alla consulenza tradizionale per un approccio orientato più al fare e al gestire. Il TM si rivela in tal senso uno strumento ottimale per portare rapidamente nelle PMI competenze di alto livello e immediatamente operative, in più capaci di operare in contesti straordinari. Strumento che, nella sua accezione part time/fractional è accessibile anche a realtà molto piccole, quali buona parte delle aziende italiane.
In sintesi, un temporary manager nel ruolo di E-Leader: un manager portatore di una cultura non più basata su silos non comunicanti tra loro, ma che sappia immaginare grandi praterie aperte in cui le persone e le organizzazioni siano in grado di evolvere armonicamente in un contesto di tipo rivoluzionario, grazie alle infinite potenzialità degli strumenti tecnologici e alla loro facilità e immediatezza di accesso. Non dimentichiamo che nei prossimi anni avverrà un progressivo inserimento di “nativi digitali” a fronte di una progressiva uscita di “nativi analogici”: un bravo E-Leader deve saper operare sui meccanismi di sovrapposizione e di blending, di integrazione.
Lavorare sulle persone significa saper avviare un processo di educazione digitale, che è cosa ben diversa dalla formazione digitale: mentre la seconda ha lo scopo prevalente di insegnare le modalità operative degli strumenti digitali maggiormente diffusi, la prima si concentra principalmente sulla costruzione di una cultura del digitale che consenta di arrivare a creare dei leader digitali, capaci di esprimere attenzione e sensibilità per quanto attiene alle modalità di selezione, implementazione delle tecnologie.
In questa accezione, l’educazione è ciò che consente alle persone di mettere in campo un’altra capacità analogica: il senso critico necessario a valutare, in una sana ed oggettiva ottica manageriale, i rischi e le potenzialità di un percorso non scontato come quello tracciato dall’evoluzione digitale.