mercoledì 12 Mar, 2025

Semiconduttori alla prova del Chips Act

La fame insaziabile di chip del mondo digitale pone l’industria globale di fronte a una scacchiera complessa e interconnessa. Dove l’Europa punta al 20%

Il mondo digitale si nutre di semiconduttori. Tutti i dispositivi elettronici dipendono da loro e il processo di digitalizzazione globale non fa che aumentare la domanda. Secondo il Capgemini Research Institute le aziende del settore prevedono una crescita della richiesta del 15% entro il 2026 e le organizzazioni a valle del 29%. I numeri preliminari del 2024 sul fatturato mondiale sono coerenti e li ha dati Gartner a inizio febbraio. Il settore dei semiconduttori ha raggiunto i 626 miliardi di dollari e si prevede che nel 2025 arriverà a 705. 

AI e AI gen guidano la domanda

A livello tecnologico entrambi i report concordano sul fatto che a guidare la domanda di semiconduttori saranno l’AI e la AI generativa. Capgemini in particolare sottolinea che la sicurezza hardware rimane una priorità fondamentale, con investimenti significativi nella progettazione di chip sicuri, nella crittografia hardware e nelle tecnologie di Root of Trust (RoT). Si sta inoltre lavorando alla softwarization, ovvero all’integrazione tra software e hardware per creare soluzioni semiconduttori più adattabili e programmabili. Tra le aree di opportunità emergenti nel settore, insieme alle già citate AI, compaiono i metodi di produzione all’avanguardia e la diversificazione delle reti di fornitori. Resta inoltre importante il coordinamento delle strategie con le iniziative governative. Ma anche il potenziamento delle misure di cybersecurity e l’adozione di standard aperti e della collaborazione open-source.

I numeri in crescita non rispecchiano un panorama privo di conflitti, anzi, in un certo senso ne sono l’esito. Le incertezze sulla stabilità della catena di approvvigionamento, in particolare a causa delle tensioni geopolitiche, pesano sulle previsioni. Così come la capacità produttiva delle fonderie (fab) e la necessità di una maggiore personalizzazione dettano tempi e scelte. L’elemento della maggiore personalizzazione, ad esempio, spinge un’azienda su tre – sempre secondo Capgemini – a progettare i propri chip o valutare questa opzione per ottenere un maggiore controllo sulla propria catena di fornitura. Inoltre, per migliorare la stabilità e ridurre la dipendenza da singole regioni, le aziende stanno puntando inoltre sul onshoring e sul friendshoring, ovvero l’uso di fornitori situati in paesi alleati dal punto di vista geopolitico. Questa tendenza dovrebbe portare l’approvvigionamento domestico ad un aumento del 17% nei prossimi due anni. 

Cosa succede in Europa

Nel 2025 a livello mondiale si prevede l’avvio di 18 nuovi impianti produttivi di semiconduttori, di cui 3 da 200 mm e 15 da 300 mm. Il vecchio continente, si sa, ha un ruolo minoritario in questa partita ma sta tentando di rafforzare la sua posizione. Attualmente, con solo 50 impianti di produzione sul suolo europeo, l’industria europea dei chip è relativamente debole rispetto ai principali concorrenti globali. La maggior parte di questi impianti produce chip con tecnologie mature (22nm e superiori). Mentre la prima e unica fab per chip con nodi inferiori a 22nm è in costruzione a Dresda, in Germania, dove lo scorso agosto è stata posta la prima pietra. L’impianto – progettato per produrre chip ad alte prestazioni con nodi tecnologici di 28/22 nm e 16/12 nm tramite tecnologia FinFET – è frutto della joint venture European Semiconductor Manufacturing Company (ESMC), che coinvolge TSMC, Bosch, Infineon e NXP. 

Il Chips Act

Il progetto è parte integrante della risposta dell’Unione Europea lanciata attraverso il Chips Act, che prevede un pacchetto di investimenti pubblici e privati per un totale di 43 miliardi di euro. Il Chips Act punta allo sviluppo tecnologico. Lo fa tramite il sostegno alla ricerca e alla produzione di semiconduttori avanzati con tecnologie all’avanguardia, come i nodi sotto i 2nm. Questo include anche il lancio delle quattro linee pilota, progettate per consolidare la leadership europea in settori specifici. Con il Chips Act inoltre l’Europa vuole garantire la  sicurezza dell’approvvigionamento per ridurre la dipendenza dall’Asia. Ma anche per prevedere e affrontare eventuali carenze di semiconduttori, nonché attrarre nuove fabbriche. 

L’obiettivo principale, com’è noto, è quello di raddoppiare la quota dell’UE nel mercato globale dei semiconduttori. Il 20% entro il 2030. Tuttavia, molti analisti ritengono che questo traguardo sia difficilmente raggiungibile senza ulteriori sforzi coordinati a livello regionale. Sono solo tre i nuovi progetti pianificati per il 2025. E le cifre degli investimenti pubblici impallidiscono di fronte ai 200-300 miliardi degli Stati Uniti e ad almeno il doppio di quelli di Corea del Sud e Cina. C’è poi la competizione interna fra gli Stati membri per ottenere una quota maggiore dei finanziamenti disponibili, con il rischio di disparità regionali e frammentazione. E la mancanza di una chiara strategia per allocare le risorse in modo equo tra le aree meno sviluppate potrebbe portare a un rafforzamento degli Stati con maggiori risorse finanziarie. 

Perché l’obiettivo del 20% è ambizioso

Gli attori industriali stanno rispondendo agli incentivi offerti dal Chips Act in modo discordante. A importanti investimenti privati che stanno prendendo forma in vari Paesi si affiancano rinunce altrettanto pesanti. Per avere un quadro occorre citare, oltre alla già detta joint venture dello stabilimento di Dresda, anzitutto Intel. La multinazionale americana ha un piano di investimenti in Europa che include 30 miliardi di euro per uno stabilimento a Magdeburgo (con 11 miliardi dal governo tedesco) e 17 miliardi per l’ampliamento (già operativo) dell’impianto di Leixlip, in Irlanda. Il progetto da 4 miliardi per un impianto di assemblaggio e test in Polonia è in un tira e molla. Infatti, dopo un primo stop ha avuto il via libera dall’UE per un co-finanziamento. 

STMicroelectronics nel nostro Paese sta sviluppando impianti a Catania e ad Agrate per la produzione di semiconduttori al carburo di silicio, sostenuti da un finanziamento pubblico di 292,5 milioni di euro. Recente è inoltre il via libera della Commissione Europea all’aiuto di Stato da 1,3 miliardi di euro per la realizzazione di Silicon Box a Novara, prima fabbrica europea di Advanced Packaging e Chiplet Integration. 

Piani che decollano e piani che tramontano

È tramontato invece il progetto per un nuovo impianto a Crolles da parte di GlobalFoundries e STMicroelectronics, che avrebbe ricevuto un finanziamento pubblico di 7,5 miliardi di euro. Così come è tramontato l’investimento da 3 miliardi di dollari dell’azienda statunitense Wolfspeed per un impianto di carburo di silicio in Germania.

Piani annunciati e poi ritirati, lentezze e cambi di rotta sono il ritratto di un’industria che resta concentrata in un numero limitato di mercati chiave, principalmente Germania, Francia, Irlanda e Italia, e che subisce l’andamento dei suoi settori di sbocco. L’Europa può sì contare su alcuni punti di forza unici, tra cui una forte base di ricerca, competenze tecniche all’avanguardia e una leadership nella produzione di apparecchiature per la litografia, come quelle prodotte dall’olandese ASML. Ma la struttura stessa dell’industria dei semiconduttori rende praticamente impossibile pianificare una qualche “indipendenza”.  

L’analisi di Abi Research

Secondo gli analisti di Abi Research, che ogni anno pubblicano un piano sui trend tecnologici che caratterizzeranno i mesi successivi, il 2025 sarà un anno cruciale per gli sforzi di onshoring dei semiconduttori negli Stati Uniti e in Europa. Eppure l’esito, secondo loro, è già scritto: il sogno non diventerà realtà. Grandi progetti come l’impianto di Intel a Magdeburgo stanno affrontando ritardi e incertezze sui finanziamenti, che mettono potenzialmente a rischio l’obiettivo dell’UE di conquistare il 20% della produzione globale di chip entro il 2030. Questi ostacoli, secondo Abi Research, porteranno a una rivalutazione strategica nel 2025. Infatti, le parti interessate si confronteranno con il fatto che costruire catene di approvvigionamento locali veramente autosufficienti richiede molto più tempo e risorse del previsto. Sebbene l’impegno politico verso la rilocalizzazione negli Stati Uniti e in Europa rimanga più forte che mai, i vincoli pratici imporranno un approccio più prudente all’espansione della capacità produttiva. Le aziende daranno priorità ai loro interessi commerciali. Adotteranno strategie di diversificazione pragmatiche piuttosto che una rilocalizzazione completa e si concentreranno su partenariati fidati e strategici. A ben vedere, già un quadro del presente oltre che una previsione. 

Questa presa di coscienza avrà un impatto particolare sui piani di produzione di semiconduttori avanzati. Le limitazioni delle attrezzature di ASML (che potrà produrre solo circa 70 macchine EUV all’anno entro il 2025) e gli enormi requisiti di capitale costringeranno i soggetti coinvolti a dare priorità a determinati progetti, ritardandone altri. L’impatto della “guerra fredda dei semiconduttori” si estenderà oltre il settore stesso, è la sintesi lapidaria degli analisti. L’esito potenziale è un rallentamento dei progressi tecnologici nell’AI e nelle altre applicazioni che dipendono dai chip più avanzati.

Le richieste dell’industria

L’industria europea sembra consapevole dei limiti e degli obiettivi realistici e a fine 2024, tramite la sua voce di categoria, ha presentato le proprie istanze. L’ESIA (European Semiconductor Industry Association) ha chiesto infatti un approccio che rafforzi l’ecosistema dei semiconduttori in Europa piuttosto che indebolirlo ulteriormente. 

Gli IPCEI (Progetti Importanti di Comune Interesse Europeo) sono strumenti fondamentali per la competitività. Ma devono essere più semplici da accedere, più rapidi da elaborare e implementati con maggiore velocità. È necessario inoltre, secondo ESIA, sviluppare nuovi strumenti di finanziamento orientati al mercato per l’innovazione. Strumenti che siano in linea con chiari piani strategici per la ricerca, lo sviluppo e la produzione. Gli industriali chiedono di evitare oneri amministrativi aggiuntivi e un regime europeo uniforme per i permessi nel settore dei chip, in modo da favorire la competitività dell’UE. Chiedono costi energetici più bassi e forza lavoro qualificata. E sono consapevoli che dovranno porre attenzione alla sostenibilità del settore. La produzione di semiconduttori ha infatti un’impronta ambientale significativa e l’UE dovrà assicurarsi che i nuovi impianti siano coerenti con i suoi ambiziosi obiettivi climatici. 

Formazione e sviluppo di competenze

Un altro elemento cruciale sarà la formazione e lo sviluppo delle competenze. L’iniziativa European Chips Skills 2030 Academy mira a creare una rete di collaborazione tra università, industria e centri di ricerca per formare una forza lavoro qualificata. Tuttavia, c’è il rischio che le risorse dedicate siano troppo diluite per essere efficaci, e in ogni caso servirà un maggiore coordinamento di tutto il sistema educativo e accademico perché la formazione sia davvero adeguata.

La strategia europea per i semiconduttori dovrà infine allinearsi al paradigma dell’Industria 5.0, che pone l’accento sulla centralità umana, la sostenibilità e la resilienza. Il tutto di fronte a uno scenario di acceso conflitto (c’è chi ha già suggerito di “fare scorta” di GPU). Di certo il settore dovrà adattarsi agli imprevisti e ai cambiamenti – come gli annunciatissimi dazi di Trump – che al netto degli effetti che avranno sull’Europa, non necessariamente negativi, mescoleranno nuovamente le carte. Il 20% della torta entro il 2023 è ancora tutt’altro che scontato. 

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