La tavola rotonda di APCO – Associazione Professionale italiana Consulenti di Management ha tracciato il profilo della consulenza del futuro
Quale ruolo assume la consulenza di management in un mondo attraversato da sfide enormi e a gran velocità? Quale modello di sviluppo promuove con la sua visione? Perché è importante affrontare i cambiamenti in atto con un approccio rinnovato? A queste domande ha cercato di dare risposta la #3 Conferenza della Consulenza di Management «Innovare per Rinnovare», evento organizzato da APCO – Associazione Professionale italiana Consulenti di Management. Ad aprile, nella sala convegni di Accredia, si sono riuniti professionisti, istituzioni, imprese e altre parti interessate per una riflessione multidisciplinare e multi stakeholder su temi di rilevanza strategica e per l’avvio di un’alleanza positiva e concreta tra diversi soggetti. Dall’idea di Consulente di Management come agente di cambiamento sostenibile, la tavola rotonda è proseguita con uno sguardo ravvicinato sulla cultura imprenditoriale italiana tra innovazione e tradizione e sul ruolo strategico della formazione per affrontare gli scenari di cambiamento.
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Francesco Catanese, presidente APCO
La figura professionale di domani
È Francesco Catanese, presidente APCO, a tracciare il profilo della figura professionale di domani, a partire dai dati odierni: «Il Nord America e l’Europa rappresentano nel settore della consulenza di management i mercati regionali più importanti del mondo», ha spiegato. «Globalmente si stima che il settore raggiungerà una dimensione di circa 1,3 trilioni di dollari entro il 2026, mentre in Europa dovrebbe registrare, nel periodo 2024-2029, un tasso di crescita del 5,52%. Un mercato importante non solo per il fatturato ma anche per l’impatto che genera. Se andiamo infatti a valutare i professionisti – circa 1.350.000 in Italia – i numeri sono ancora più alti».
Un contesto di crisi sistemiche
Il contesto però, ha aggiunto, «è quello di un concatenamento di crisi sistemiche, da quasi 30 anni a questa parte. Dal tracollo finanziario mondiale del 2008, alla crisi del debito sovrano a quella petrolifera, oggi abbiamo attraversato la pandemia e stiamo ancora attraversando le crisi climatica, demografica, energetica e geopolitica. La transizione è entrata nel nostro quotidiano. Lo scenario è veloce, iper connesso, iper competitivo e diversi settori sono alle prese con stress e stravolgimenti. Occorrono nuovi strumenti di governo e nuove competenze».
Verso una nuova economia
Da qui l’importanza di un servizio che vada incontro a queste nuove esigenze, ma che sappia anche interrogarsi sulla visione che promuove: «Il moderno sistema di sviluppo sta generando sempre maggiori disuguaglianze, come abbiamo osservato durante la pandemia», ha detto ancora Catanese. «Da più parti arrivano tante sollecitazioni: dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, al Global Compact, alle encicliche, si va verso un cambio di paradigma. Occorre ispirare una nuova economia che sia amica dell’umanità, armonica e rispettosa. Il nuovo ruolo del consulente di management parte da qui. Una figura professionale fondamentale, che consiglia, orienta, supporta, studia piani, elabora modelli, che esercita un compito delicato connesso al futuro di ogni organizzazione. Siamo chiamati ad anticipare i trend di cambiamento, a elaborare progetti strategici e di innovazione anche in situazioni ambigue e complesse. Siamo chiamati a favorire l’evoluzione responsabile delle organizzazioni».
L’etica nella professione
Questo chiama in causa l’etica della professione e delle persone: «Competenze etiche e tecniche convergono in una nuova figura, con un unico corpus di competenze», è il pensiero del presidente di Aidp, per cui occorre «adottare una visione olistica, pensiero strategico e azione integrata, avendo attenzione non solo alle dimensioni ESG ma anche agli impatti etici e culturali che derivano dal nostro agire e dal nostro modello professionale».
La centralità della formazione
A ricordare la centralità della formazione, per un cambiamento della professione a lungo termine, è stato Gennaro Iasevoli, presidente AIDEA (Accademia Italiana di Economia Aziendale). In futuro, sostiene, «le tecnologie, in particolare le AI, determineranno uno spostamento delle competenze manageriali sulla capacità di raccogliere e analizzare i dati. Con l’AI generativa le competenze si sposteranno di più nelle micro strategie. Dobbiamo formare gli studenti in questo senso». Altro tema è quello della velocità: «Un ateneo che vuole immaginare i laureati del 2027 deve pensare oggi a quale offerta formativa proporre», dice Iasevoli. «La velocità sta cambiando le competenze, quindi quali vanno trasferite? Quelle di base non sono più sufficienti. Come sistema universitario occorre abituare gli studenti ad essere flessibili nella lettura dei fenomeni, saperli interpretare e saperli calare nelle realtà in cui andranno a lavorare».
Standardizzazione e certificazione delle competenze
L’altro binario lungo cui corre la professione di consulente di management è quello della standardizzazione. Ne ha parlato Ruggero Lensi, direttore generale di UNI (Ente italiano di normazione), che ha ripercorso la storia della certificazione delle competenze e dei servizi. Dal 2003 ad oggi, ha ricordato, l’Italia è stata apripista al mondo con l’introduzione della prima norma nazionale sul tema, i cui contenuti hanno concorso a costruire la norma europea e infine quella mondiale. «Guardando al futuro – ha detto Lensi – l’iniziativa che UNI sta seguendo a livello europeo sulla costituzione di un tavolo sull’Innovation Manager, è parte di questo modello virtuoso che ha consentito di scalare un meccanismo di esportazione delle competenze a livello internazionale».
Un’eccellenza italiana
Un pensiero condiviso da Filippo Trifiletti, Direttore Generale Accredia, secondo il quale
se c’è un campo in cui siamo molto avanti in Italia è quello della certificazione delle competenze. Il tessuto economico è ricco di PMI ma anche di professionisti, e questo è un segno di dinamismo. Attraverso le certificazioni e l’associazionismo, imprese e professionisti cercano di valorizzare la propria professionalità.
Innovare e rinnovare
A insistere sulla relazione tra innovazione e rinnovamento è stato Federico Iadicicco, Presidente ANPIT (Associazione per l’Industria ed il Terziario): «Innovare significa fare qualcosa di nuovo, mentre rinnovare significa rendere più nuovo qualcosa che già esiste. In questo rapporto c’è la chiave di volta per comprendere la funzione dell’innovazione, ovvero rinnovare e migliorare qualcosa che esiste. Per esempio ridurre le storture, le ingiustizie e le disuguaglianze prodotte con le innovazioni precedenti». Il tema dell’innovazione legato all’impresa richiede uno sforzo, secondo Iadicicco: «La più grande innovazione, per migliorarsi come impresa e migliorare la società, sta nel rompere definitivamente quel rapporto conflittuale, novecentesco, tra capitale e lavoro. Una grande finzione che ha rotto gli argini di una società tradizionale che si fondava sull’idea di comunità. Sin dalle origini l’impresa è stata una comunità, ma si è sviluppata all’interno di una dialettica dei rapporti sociali come luoghi di contrasto, non di sintesi delle istanze di chi portava il capitale – e il lavoro, specie in Italia con le Pmi, dove il capitalista è anche imprenditore e lavoratore».
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Una dimensione comunitaria per le imprese
La strada dunque, ha concluso il Presidente di ANPIT, è quella di «ridare alle imprese una dimensione comunitaria, dove imprenditore lavoratore, lavoratori dipendenti, assieme agli stakeholders, al territorio in cui l’azienda opera, perseguono finalità comuni. Che sono sicuramente la crescita economica, ma anche il benessere di chi lavora e quello del territorio in cui l’impresa opera».
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