giovedì 23 Mag, 2024

Reti di impresa, quando insieme è meglio

Crescono le aziende che decidono di collaborare per realizzare progetti comuni, razionalizzare costi o migliorare il posizionamento sul mercato. L’indagine di InfoCamere

Lo scenario economico in cui si trovano ad operare le imprese italiane (e non solo) è molto incerto: dopo la ripresa post Covid registrata nella seconda parte del 2022, il rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, e i conseguenti aumenti dei costi di produzione, ha attraversato tutto il 2023, che si è concluso con una progressiva decelerazione dell’economia italiana. Anche la congiuntura internazionale non è delle migliori, influenzata dalle tensioni geopolitiche tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente.

Nonostante questo, il sistema imprenditoriale italiano ha dimostrato una buona resilienza, e questo anche grazie alle reti d’impresa. Una rete di imprese è un modello di collaborazione tra aziende che si basa su un accordo, detto contratto di rete, che è stato introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009. Le imprese si uniscono in rete per condividere conoscenze e competenze, realizzare progetti comuni e/o razionalizzare i costi di gestione al fine di incrementare la propria capacità innovativa e competitività sul mercato pur mantenendo ciascuna la propria individualità. Anche nel 2023 la rete d’impresa si è dimostrata un modello positivo per il tessuto aziendale italiano, come evidenziato dal V Rapporto dell’Osservatorio nazionale sulle reti d’impresa, a cura di InfoCamere, di RetImpresa e del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicato il 20 marzo scorso.

Nel 2023, in Italia le reti di imprese hanno registrato una crescita significativa

Sono oltre 47mila le aziende coinvolte distribuite su tutto il territorio nazionale, per un aumento complessivo pari a 4,8 punti percentuali rispetto al 2022. Il Rapporto 2023 dell’Osservatorio nazionale sulle reti d’impresa ha esaminato l’intero panorama dei contratti di rete in Italia utilizzando i dati del Registro Imprese delle Camere di commercio e dei risultati di un sondaggio condotto dall’Osservatorio stesso su un campione rappresentativo di reti attive.

I dati del Registro Imprese, elaborati da InfoCamere, mostrano che in Italia sono stati stipulati quasi 9 mila contratti di rete, con un incremento del 7,4% rispetto al 2022. Come nell’anno precedente, anche nel 2023 c’è stato un rafforzamento delle micro-reti, ovvero di aggregazioni di imprese composte da meno di 10 aziende, che rappresentano l’87% del totale. Infatti una rete su due è formata da 2-3 attività produttive, dinamica che conferma la polarizzazione dei contratti di rete verso forme a bassa densità imprenditoriale.

Oltre la metà delle reti di imprese italiane coinvolgono realtà aziendali di una stessa provincia

Crescono le aggregazioni fuori dai confini provinciali, nonché quelle infraregionali. Rispetto al 2022, si osserva una lieve attenuazione delle aggregazioni di imprese all’interno della stessa regione, che rimangono comunque prevalenti (71%), a favore delle reti biregionali e multiregionali. Analizzando la distribuzione infraregionale, le reti mostrano una tendenza a svilupparsi principalmente all’interno della stessa area geografica (81,4%). In particolare, si riscontra una prevalenza di questi network nelle regioni del Nord (39,6%), sebbene la percentuale sia in diminuzione rispetto al 2022. Nonostante si assista ad un sempre maggiore ampliamento del fenomeno delle reti di imprese al di là della contiguità territoriale, questi dati dimostrano come la prossimità “fisica” sia, per le aziende italiane, un fattore facilitante alla collaborazione. 

Se le imprese italiane hanno più difficoltà a fare rete quando non sono territorialmente vicine, non hanno invece alcun problema ad aggregarsi se operano in settori differenti. Sei reti di aziende su dieci, infatti, sono multisettoriali. Però, come sottolineato dal report, gli ultimi anni mostrano una graduale flessione delle reti plurisettoriali, soprattutto quelle che interessano quattro o più settori diversi, e una conseguente espansione di forme aggregative tra imprese dello stesso comparto.

Questo trend «rispecchia in qualche modo una maggior preferenza e/o facilità degli imprenditori a fare rete tra realtà produttive non troppo dissimili, probabilmente dopo aver sperimentato senza successo forme di aggregazione plurisettoriali», spiegano Serafino Pitingaro e Silvia Corsini di InfoCamere. «Le reti che aggregano imprese appartenenti a tre o più diversi settori di attività si sono quasi dimezzate – continuano Pitingaro e Corsini -, mentre si è rafforzata la quota di reti bisettoriali. Tali dati sembrano suggerire una minor propensione da parte degli imprenditori nel tentare relazioni produttive plurisettoriali, verosimilmente più faticose delle aggregazioni unisettoriali e bisettoriali».

I settori prevalenti in cui si fa rete d’impresa in Italia sono l’agroalimentare, l’edilizia e il commercio, seguiti dai servizi turistici, dai servizi professionali e dalla meccanica.

Ma perché le aziende italiane si mettono in rete? Secondo i dati raccolti dal sondaggio condotto dall’Osservatorio, la maggior parte delle reti dichiara di operare per aumentare il potere contrattuale delle PMI: meno di una su 10, infatti, ha una grande azienda al proprio interno. In secondo luogo, scelgono questa strada per condividere le spese legate ad acquisti, forniture e tecnologie. Ma anche per partecipare a bandi e gare di appalto. Quest’ultimo obiettivo è distintivo per le costruzioni, mentre per l’agroalimentare e il commercio è rilevante anche la creazione di un brand comune. 

I dati relativi alle performance delle reti d’impresa sono molto positivi. In particolare, i soggetti che hanno partecipato al sondaggio sono sostanzialmente concordi nell’affermare che la rete raggiunge i suoi principali obiettivi. Infatti accresce la competitività dei suoi membri e del network, si caratterizza per relazioni forti tra i partecipanti e per la capacità di gestire conflitti e crisi interne. Tuttavia, la maggior parte delle realtà imprenditoriali intervistate ha affermato di voler restare in rete principalmente perché alcune attività precedentemente svolte solo all’interno del network sarebbero difficili da gestire autonomamente. Questo dato sottolinea ancora una volta l’importanza e la rilevanza di questo strumento di collaborazione per lo sviluppo delle aziende italiane e, conseguentemente, del tessuto imprenditoriale italiano.

Come proteggere la propria unicità 

«Le iniziative di positiva collaborazione e di integrazione tra imprese, meglio se di dimensioni e settori diversi, potrebbero garantire risvolti estremamente utili per preservare segmenti di filiere strategiche per il tessuto produttivo del Paese», riprendono Serafino Pitingaro e Silvia Corsini di InfoCamere. «Grazie alle reti, possono concretizzarsi aggregazioni di imprese sulla base di interessi confluenti e possono essere un’alternativa anche alle crisi aziendali, che spesso sfociano in chiusure o in dismissioni». Il 66% delle reti coinvolte nel sondaggio dell’Osservatorio, infatti, dichiara di riuscire a riprendersi entro un anno in seguito ad una crisi, sia essa esogena o endogena. «I contratti di rete quindi rappresentano di fatto uno strumento utile non solo per fronteggiare le mutevoli fasi del ciclo economico – dicono ancora da InfoCamere -, ma anche per garantire una tenuta dell’economia italiana in chiave di maggiore organizzazione, collaborazione e solidarietà tra le imprese». 

«Accanto a misure legislative di sostegno ai progetti di aggregazione e alle reti sul piano fiscale, finanziario e occupazionale – aggiungono Pitingaro e Corsini – diventa quanto mai indispensabile creare un clima culturale che faccia comprendere le potenzialità dello strumento e che favorisca lo scambio e la condivisione tra le micro, piccole e medie imprese del Paese».

Anche le società benefit si mettono in rete

In Italia sta crescendo anche il fenomeno delle società benefit in rete. Da quando la legge 208/2015 ha dato la possibilità alle aziende di diventare “società benefit”, il loro numero è aumentato esponenzialmente in tutto il Paese. Per acquisire l’etichetta di società benefit un’impresa, oltre a perseguire obiettivi di profitto, deve operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente, nel rispetto di ambiente e società.

Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale, a fine 2023 le società benefit registrate in Italia erano 3.619, in crescita del 38% rispetto al 2022 e più del doppio rispetto al 2021. Nel complesso impegnano 188 mila addetti per un volume d’affari che supera i 33 miliardi di euro. Per quanto riguarda i settori, in Italia la maggior parte delle società benefit opera nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (27%), seguite dal comparto dell’informazione e della comunicazione (19%), dalla manifattura (13%) e dal commercio (9%). Passando alla distribuzione territoriale, una società benefit su tre si trova in Lombardia, ma abbondano anche nel Lazio e nel Veneto. 

La forte pervasività e la veloce diffusione delle società benefit hanno interessato anche i contratti di rete. Sono numerose, e in crescita, le imprese retiste che hanno deciso di integrare il proprio oggetto sociale con obiettivi diversi da quelli di profitto. Secondo i dati del Registro Imprese elaborati da InfoCamere, a fine 2023 sono 226 i contratti di rete che vedono la presenza di società benefit, mentre sono 211 le aziende benefit che fanno parte di almeno una rete d’impresa. Le società benefit che fanno rete provengono principalmente da tre settori: servizi professionali, servizi tecnologici, informatici, comunicazione e servizi commerciali. Scarseggiano invece nei comparti in cui si contano la maggior parte delle reti di imprese, ovvero nell’agroalimentare e nell’edilizia. 

«La crescente propensione a perseguire non solo l’utile economico, ma anche finalità di beneficio comune che riguardano tanto le persone e la collettività che l’ambiente e i territori, rappresenta per il sistema produttivo italiano un importante segnale di cambiamento in termini di innovazione verso la sostenibilità», spiegano ancora Serafino Pitingaro e Silvia Corsini di InfoCamere.

«Scegliere la forma di società benefit rappresenta una scelta strategica del management perché necessita di una serie di passaggi operativi non di poco conto: una modifica dello statuto, ma soprattutto un forte impegno in termini di trasparenza». Infatti, ogni anno le società benefit devono redigere una relazione di impatto dove vengono illustrate le azioni attuate per perseguire finalità sociali e ambientali, gli eventuali motivi che non hanno permesso di raggiungerle e gli obiettivi futuri. Grazie all’introduzione nell’ordinamento italiano delle società benefit, aggiungono Pitingaro e Corsini, «si saldano tre elementi che, fino a qualche anno fa, quasi nessuno avrebbe mai accostato o che, addirittura, sarebbero apparsi contrastanti e antitetici: conseguire profitto nel rispetto delle persone e dell’ambiente e attraverso iniziative di integrazione e strategie di collaborazione».

Da questo punto di vista «il nostro Paese appare particolarmente virtuoso anche a livello globale: la tendenza verso la transizione sostenibile e rigenerativa è considerata sempre più importante, tanto che sempre più società si stanno impegnando in un percorso di trasformazione per diventare benefit». Le benefit corporation italiane stanno dunque contribuendo attivamente al cambiamento e alla transizione. Secondo la lettura di InfoCamere, stanno andando verso «un paradigma che punta a superare l’anacronistica contrapposizione tra ricerca del profitto e del bene comune, in cui il risultato economico è sempre meno antitetico al benessere ambientale e sociale». 

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