E cosa serve per crescere?
Investimenti mirati, riduzione dei costi, riconoscimenti normativi, strategie per ottenere sgravi e incentivi. Non è sempre facile trovare il modo di mettere in pratica queste necessità. Ci sono figure che se ne occupano. Lorenzo Bringhenti, mantovano 51enne, amministratore unico della Bringhenti & Partners, una realtà consolidata, nata nel 2016, che si occupa da anni di consulenza industriale, formazione, qualità, organizzazione della produzione e da qualche anno e in modo massiccio di Industria 4.0.
A breve anche di Industria 5.0…
Al momento sono solo riflessioni in ambito collegiale – risponde Bringhenti – ma presto sarà realtà. In teoria rappresenterà il completamento di Industria 4.0 e metterà in primo piano l’ambiente, la ricerca e l’innovazione digitale come motori di sviluppo dell’impresa. I vantaggi che se ne ricaveranno saranno più o meno quelli di industria 4.0: per dirla in sintesi, l’innovazione e la connettività aiuteranno l’impresa ad avere a disposizione tutta una serie di dati utili, che noi certificheremo anche.
La Bringhenti & Partners infatti si occupa per IMQ Spa (uno dei principali enti di certificazione italiani) di coordinare e svolgere audit finalizzati al rilascio dell’attestato 4.0, documento indispensabile per sostenere che il bene acquistato dall’azienda possegga i requisiti richiesti dalla legge, e poter accedere legalmente ai crediti fiscali.
Lei è anche Responsabile Tecnico di IMQ Spa nella B.U Transizione 4.0, che idea si è fatto in questi anni su questa legge?
I dati ci dicono che il 50% delle PMI italiane, è ancora «resistente» rispetto al processo di trasformazione tecnologica. Addirittura, un 8% di Micro PMI, o cmq PMI non internazionalizzate, rimangono completamente analogiche. In sostanza le PMI vanno a due velocità: da una parte un 50% che vive la transizione digitale come un fattore abilitante, di contro un 50% che la subisce, e in taluni casi arriva a rifiutarla rimanendo analogica.
Il 71% delle grandi aziende invece mostra un profilo “convinto o addirittura “avanzato”, qui il digitale non è considerato un costo ma lo strumento cardine per costruire il futuro dell’azienda.
Ma ancora oggi le aziende che si rivolgono a IMQ Spa per commissionare una attività di attestazione 4.0 di legge, ci rivolgono prevalentemente la stessa identica domanda “Quale è il credito di imposta che mi porterò a casa?
Ma quali sono le difficoltà nella Transizione 4.0 delle aziende?
Capire che la trasformazione digitale è una scelta di campo e non solo fiscale. Vede per condurre un progetto di interconnessione in una azienda è necessario che figure come il CFO, il direttore Produzione e IT manager collaborino a stretto contatto sugli stessi temi. Ecco questa collaborazione è in assoluto una delle difficoltà più grandi: un CFO non ha la minima idea di come funzioni una macchina né tantomeno di come si possa interconnetterla, mentre conosce benissimo i vantaggi e le scadenze fiscali imposte da questo decreto. L’Operation Manager invece ha una vaga idea dei vantaggi fiscali e dell’interconnessione ma ciò che gi interessa realmente è che la macchina inizi a produrre il prima possibile e possa fornire pochi e semplici dati sul suo funzionamento. L’IT Manager invece ignora i vantaggi fiscali e produttivi ma conosce perfettamente i rischi legati ad avere una macchina in rete, soprattutto se l’accesso avviene con porte sul mondo web o comunque esterno.
Vede una volta le aziende ci chiamavano perché i cybercriminali bloccavano l’uso di ERP ma oggi ci chiamano perché hanno le macchine spente e non possono più produrre.
Ecco la 4.0 obbliga queste tre figure a collaborare in modo stretto per arrivare al giorno della verifica pronti al soddisfacimento dei 5+3 requisiti di legge. A mio avviso quindi la difficoltà primaria è individuabile nella mancanza di una disciplina nel definire e compiere i passaggi giusti per fare sì che la trasformazione digitale decolli e mantenga il vantaggio competitivo.
Lei è anche uno dei circa 9000 Innovation Manager qualificati presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex M.I.S.E), questa figura non dovrebbe servire proprio a questo?
Dovrebbe anche se a mio avviso la figura non è mai pienamente decollata. L’I.M nasce proprio per supportare le imprese nei processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi e della digitalizzazione. Proprio recentemente il Ministero delle imprese e del Made In Italy ha rifinanziato i voucher per I.M con altri 75Ml€ e dal 22 giugno al 5 settembre sarà quindi
possibile iscriversi al NUOVO elenco dei manager qualificati e delle società di consulenza. Sottolineo nuovo e quindi il vecchio
elenco degli I.M è tutto da riscrivere e da rifare da zero.
Ma quindi la sua società è nata solo grazie ad Industria 4.0?
Per fortuna no. La Bringhenti & Partners nasce con lo scopo di erogare consulenza tecnica verticale in un mercato, quello della consulenza alle imprese, oramai troppo livellato su aspetti “generalisti e concettuali”. La B&P supporta le aziende nella individuazione e soluzione di problemi tecnici, ponendosi di fianco alle persone che lavorano nelle aziende che ci contattano e assolutamente non sopra. Non ci limitiamo a spiegare come rispettare questa o quella norma, come fare quella/quelle operazioni in
modo più efficiente, ma bensì portiamo l’esperienza maturata non solo in anni di azienda ma di 30 anni di aziende diverse.
In che senso “generalista e concettuale”?
Uno dei miei primi colleghi “anziani” nella consulenza mi ripeteva sempre una frase che non mi ha mai convinto “tu devi sapere di tutto un pò perché nella consulenza non hai tempo per approfondire sempre”. Ma se io la materia non la padroneggio non sono efficace e quindi servo a poco. Ad esempio se tu dici ad un responsabile della progettazione che la dichiarazione di conformità CE che stà facendo è sbagliata lo devi poi aiutare a redigerla nel modo giusto spiegandogli dove sbagliava, non puoi sempre dire “non è la mia materia, bisogna coinvolgere un altro esperto”, perché in questo caso i problemi glieli hai creati e non risolti. Così come se ti chiedono di aiutarli a ridurre i problemi sul prodotto o di produzione, non puoi limitarti a sciorinare le teorie del Kaizen, del problem solving, dello FMEA, del WCM senza “scendere in campo” con loro. Un Cliente ci ha definito i consulenti in polo e jeans con le scarpe antinfortunistiche. E’ proprio cosi.
Quindi, come vi muovete?
I miei dipendenti e collaboratori sono specialisti nella loro materia, ognuno è verticale sui suoi temi. C’è l’esperto ambientale, l’esperto in marcatura CE, l’esperto in informatica, l’esperto 4.0, l’esperto del Kaizen, l’esperto in Dispositivi Medici.
Ma, cosa è esattamente il Kaizen?
Il Kaizen è la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, in modo continuo e continuativo; il metodo Kaizen è l’insieme delle tecniche che ci permettono di pensare, analizzare e di migliorare, attraverso le persone, l’efficacia operativa. È stato coniato da Masaaki Imai, manager della Toyota, negli anni ottanta, ora viene applicato in moltissime aziende di tutto il mondo.
La B&P ha da tempo sviluppato un modo “strutturato” di fare Kaizen. In pratica ci sono regole ben precise per affrontare, trattare e risolvere i problemi. Nessuna bacchetta magica, solo tanto sudore e fatica ma poi i risultati arrivano. In tante aziende stiamo risolvendo problemi latenti da anni e gli operai ci cercano, o meglio cercano le persone del “Kaizen team”, per chiederci di risolvere anche il loro problema, perché spesso il problema dell’operaio è molto più piccolo di quello che si pensi.È in queste aziende che cominci a vedere i risultati: soldi risparmiati, efficienza che aumenta, ma soprattutto: i sorrisi delle persone, il loro “rispetto professionale”, le “pacche” sulle spalle, le strette di mano sincere. In pratica, capisci come rendere ogni nuovo giorno un giorno migliore del precedente. Adriano Olivetti diceva:
“Io voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri: ll lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti
un tormento: tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro inutile…”
Noi, ma non solo noi ovviamente, invece ci occupiamo di realizzare soluzioni per rendere questi lunedì sempre meno “grigi”. Come pensa che si senta un lavoratore, operaio o impiegato, che ogni lunedì tornando al lavoro ritroverà immancabilmente i soliti “incubi”: il cliente che lo chiamerà per lamentarsi sempre di quel malfunzionamento, l’attrezzo che non funziona, lo strumento che non misura, il software che si blocca, il pezzo sbagliato che devi tutte le volte aggiustare.
In poche parole…
Di cosa ti occupi esattamente?
Gestisco gruppi Kaizen
No, intendo che lavoro fai..
Aiuto le aziende a migliorare i loro processi e a migliorare la
qualità dei loro prodotti.
Capisco, ma quindi sei in grado di risolvere qualsiasi problema di qualsiasi azienda?
Certo che no, insegno applico un metodo strutturato per affrontare i problemi e trovo soluzioni grazie alle idee delle persone che lavorano proprio in quell’azienda.
Adesso non capisco, quindi perché le aziende non risolvono da sole i loro problemi se conoscono già le soluzioni?
Mille motivi, in primis la gente non comunica in modo organizzato, ad esempio usa le mail per ogni scopo, esprime pareri senza attribuire responsabilità, scadenze, ecc.
Quindi tu aiuti le persone a comunicare e attuare le loro soluzioni ai problemi
Esatto
Te lo chiedo perché quando mi chiedono che lavoro faccia mio figlio non so mai cosa rispondere…
L’impiegato papà, di loro che faccio l’impiegato…