Le macchine tradizionali – parliamo di almeno tre decenni fa – erano quasi completamente isolate dal resto dell’impianto, la loro unica interfaccia verso il “mondo” era il quadro di controllo, popolato di luci, pulsanti e selettori.
La necessità di controllare e gestire il flusso di lavoro in modo centralizzato ha comportato l’esigenza di implementare un primo grado di apertura, grazie a interfacce capaci di portare dati verso l’esterno (allarmi, contatori, stati di funzionamento) e verso l’interno (parametri di lavorazione e ricette).
Questo paradigma prevedeva inizialmente l’uomo (o un sistema centralizzato “antropocentrico”) come unico fruitore delle informazioni, mentre in un secondo tempo ha preso campo la necessità di far “parlare” direttamente le macchine tra di loro (M2M – machine to machine).In questo percorso lo sforzo nella progettazione si è progressivamente spostato dalla singola macchina all’integrazione di più macchine. Se prima il lavoro dei progettisti terminava quando la macchina rispondeva secondo specifica ai comandi impartiti localmente dal quadro di controllo, oggi la parte del lavoro più onerosa è verificare che la macchina stessa supporti correttamente un processo più complesso in cui questa si colloca, collaborando con gli altri elementi coinvolti.
La comunicazione tra macchine è sempre più ricca e articolata: già da qualche anno, nella costruzione di un nuovo impianto, subito dopo il cemento si stendono le dorsali in fibra, cioè la spina dorsale delle comunicazioni. Le soluzioni per implementare queste complesse e numerose interazioni sono molteplici: tra tutti OPC-UA è sicuramente la tecnologia cross-platform più diffusa per scambiare dati tra dispositivi in ambito automazione, mentre recentemente l’utilizzo di MQTT si sta affermando come modello più flessibile e orientato alla convergenza IT/OT.
Creare un modello dei soli percorsi di comunicazione ormai non basta più, perché il livello di integrazione tra macchine è diventato tale che si può (si deve) iniziare a pensare ad un impianto come a un’applicazione distribuita, in cui le risorse HW sono la piattaforma che ne consente la realizzazione.
Questo paradigma richiede un nuovo modo di pensare e progettare: le funzioni che costituiscono l’applicazione diventano elementi che possono essere assegnati in modo trasparente ai diversi nodi. In altre parole si passa da scaricare un progetto in un controllore a distribuire un’applicazione che può coinvolgere più impianti, piattaforme Edge e il Cloud. Se questo mindset è già parte delle competenze IT, l’automazione tradizionale è ancora molto “PLC-centrica”, con professionisti spesso legati a un determinato brand o addirittura a una famiglia di controllori specifica.
Un supporto in questo senso viene dallo standard IEC 61499 che ha l’ambizione di formalizzare il concetto di sistema di controllo distribuito, superando alcuni limiti del celeberrimo standard IEC 61131, alla base della moderna programmazione PLC. L’intenzione del (relativamente) nuovo standard non è la sostituzione dell’altro, ma gettare le basi per una piena interoperabilità tra piattaforme di esecuzione (e.g. PLC), rendendole capaci di collaborare nativamente alla realizzazione di un’applicazione tra essi distribuita.
Questo significa che il progettista – secondo questo nuovo paradigma – dovrebbe pensare a un’applicazione completamente agnostica rispetto all’ambiente di esecuzione, costituita da componenti (FB) che saranno distribuiti ed eseguiti virtualmente su qualsiasi dispositivo conforme allo standard.
Chi oggi, come Adgenera, opera nel settore dell’automazione sa quanto sia complesso fare operazioni di porting del codice tra dispositivi di brand diversi. Difficile, per una serie di incompatibilità, in certi casi intrinseche e, in altri, studiate appositamente dai produttori per alimentare la fedeltà dei propri clienti. In molti contesti la possibilità di avere codice di controllo realmente platform-independent (per applicazioni desktop è la norma da qualche decennio) è di fondamentale importanza. L’attuale shortage globale di componenti ha evidenziato ancora di più questo aspetto.
L’adozione di questo standard da parte dei produttori rappresenta al solito un’opportunità e una minaccia al tempo stesso: se l’interoperabilità sarà il futuro, essere fuori da IEC 61499 significherà perdere rapidamente quote di mercato. Del resto lo standard mira a rendere i device più “anonimi” cosa non gradita ai player più importanti che rischiano di apparire solo come più costosi. L’offerta di dispositivi “IEC 61499-compliant” è ancora molto limitata, sono pochissimi i brand che affrontano pubblicamente questo tema complesso, il che non sorprende per uno standard relativamente giovane.
Supportare il Cliente significa essere prima di tutto attenti e aggiornati rispetto ai trend emergenti: da qualche tempo Adgenera sta sperimentando le prime soluzioni IEC 61499 per verificarne le potenzialità, con particolare attenzione agli sviluppi futuri.