Semiconduttori e componenti passivi. Intervista a Luciano Pini, presidente di ANIE Componenti Elettronici
Lo scorso dicembre, con manovra finanziaria approvata dal Parlamento, è stata istituita una fondazione denominata “Centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore”. Come valutate questa notizia?
Il Centro Italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore rafforzerà certamente la posizione nel nostro Paese nel mondo dei semiconduttori creando sia un ambiente più favorevole agli investimenti stranieri sia competenze all’interno del cosiddetto rinascimento tecnologico varato dall’Unione Europea. Un progetto ambizioso che trova terreno fertile in una nazione che è già un importante centro di progettazione di semiconduttori. Le principali aziende, non solo europee, hanno basato qui parte dell’R&D investendo ingenti risorse in tecnologie di base e sviluppo di prodotti a sbocco industrial e automotive, che rappresentano il 95% del mercato europeo di utilizzo dei chip, con partnership consolidate con il mondo accademico. Di fronte alla ferma volontà politica di rafforzare la resilienza italiana ed europea nel settore, questo Centro diventerà il nodo italiano di quella rete di centri di competenza di semiconduttori, tecnologie di integrazione e progettazione di sistemi previsti dal Chips Act europeo, andando a impattare positivamente non solo sul valore del mercato italiano ma anche su quello dell’UE, con un fattore moltiplicativo dell’attuale quota di produzione di semiconduttori.
Per la costituzione della Fondazione sono previsti stanziamenti per 10 milioni per il 2023 e di 25 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2030. Inoltre, per il suo funzionamento, è autorizzata una spesa di 5 milioni di euro all’anno a partire dal 2023. In attesa dei decreti ministeriali che definiranno meglio i compiti e le attività dell’ente, appare chiaro che questa misura punta a rafforzare la posizione italiana nel mondo dei semiconduttori. Saranno investimenti sufficienti a questo scopo?
Di certo, l’investimento economico non è indifferente e le risorse sono già pronte per essere spese. Ulteriori considerazioni in merito si potranno fare non appena saranno definiti i dettagli su compiti e attività del nuovo Centro.
In tema di indipendenza, anche l’UE con lo European Chips Act mira a raddoppiare l’attuale quota europea di produzione di semiconduttori entro il 2030, passando dall’attuale 10% circa al 20%. È un traguardo raggiungibile?
L’EU Chips Act si inserisce in una stagione europea decisa a indirizzare l’economia e l’industria verso target strategici. L’obiettivo più alla portata sembra quello di ridurre progressivamente la dipendenza dall’estero, soprattutto in un contesto come quello dell’Asia-Pacifico dove nei prossimi anni il livello delle tensioni geopolitiche sembra destinato a salire. Produrre microchip è complesso e costoso, per cui non è facile aumentare nell’immediato siti e stabilimenti produttivi. Nel medio-lungo termine l’auspicio è sicuramente quello di recuperare le quote perse rispetto ai due decenni precedenti, quando l’Europa rappresentava il 24% della capacità produttiva mondiale. Ancora nel 1990 era il 44%.
L’industria dei semiconduttori rimarrà comunque fortemente interdipendente. Per questo una possibile via d’uscita dalla scarsità di semiconduttori a livello mondiale sta nel ripensare e aggiornare l’ingegneria dei materiali e dei componenti elettronici a livello di progetto, e poi di produzione. Per esempio: ottimizzare le scelte d’uso dei chip, ridurre i costi collegati, ottimizzare le supply chain per lo sviluppo di tecnologie ed elettronica.
L’UE rimane un nodo centrale nel complesso ecosistema globale dei semiconduttori, essendo un player fondamentale per la fornitura di diritti di proprietà intellettuale, ricerca e sviluppo con centri dedicati in Belgio, Italia, Francia e Germania, oltre che materiali ed attrezzature. Uno degli obiettivi della Commissione è proprio quello di sostenere questi punti di forza, per un ecosistema europeo che rimanga leader nell’innovazione e nella ricerca, ma con maggiori possibilità di trasferire queste conoscenze sul mercato e in opportunità di business.
Veniamo allo scenario nazionale. Il 2022 è stato un anno particolare per l’industria dei componenti elettronici, sia per il settore dei semiconduttori che per quello dei componenti passivi. La richiesta globale ha fatto registrare crescite importanti per molte aziende, d’altra parte i problemi legati alla catena di approvvigionamento hanno creato delle incertezze. Che bilancio avete tratto e cosa prevedete per il 2023?
Per il settore dei componenti elettronici il 2022 è stato un anno estremamente positivo sia in termini di fatturato che di ingresso ordini. Tuttavia, per via di una serie di fattori è stato anche un anno complesso, per via del perdurare delle difficoltà di approvvigionamento materiali, la mancanza di visibilità nel medio-lungo termine, l’allungamento dei tempi di consegna, il costo dell’energia, il conflitto Russia-Ucraina e le tensioni geopolitiche. Il 2023 promette un certo sollievo, ma i segnali economici e politici generali non sono prevedibili o pianificabili. Ciò porta a stime prudenziali che fanno immaginare un andamento tendenzialmente appena sopra il flat nel 2023 e una crescita a un digit nel 2024 e nel 2025.
Le dinamiche del comparto in un orizzonte di medio periodo, oltre che beneficiare dello stimolo che deriva dal PNRR nei mercati di sbocco, si collocano nel percorso di sviluppo che coinvolgerà nei prossimi anni l’industria europea. L’aumento dei dispositivi IoT, basati su tecnologie evolute per controller, connettività e sensoristica, farà dell’industria digitale, del mondo dell’elettrificazione, della guida autonoma e di tutte le altre soluzioni smart abilitanti i servizi a valore aggiunto i domini di applicazione più promettenti.
“Manca il personale specializzato”, lo si sente ripetere sempre più spesso. Nel momento in cui scriviamo, ad esempio, la sola STMicroelectronics ha oltre 400 posizioni aperte in Italia, mentre Technoprobe, altra azienda leader del settore, qualche mese fa ha siglato nuovi accordi sindacali per attrarre nuova forza lavoro. La vostra esperienza conferma questo problema?
Il mercato strategico dei componenti elettronici è molto vasto e comprende anche il mercato del capitale umano. Negli anni Novanta il rapporto tra gli iscritti a Ingegneria elettronica rispetto a quelli di Ingegneria informatica era bilanciato. Oggi, il 10% lavora nell’ingegneria elettronica mentre il 90% nell’ingegneria informatica. L’ingegneria elettronica risulta essere meno attrattiva probabilmente perché si occupa di prodotti che sono nascosti all’interno di molti altri dispositivi. Ed è un grosso problema perché manca personale qualificato nelle fabbriche, da impiegare nella ricerca e sviluppo e per presidiare aree della progettazione.
ANIE è molto sensibile al tema della formazione. Il piano di azione della Federazione per contribuire a colmare il gap domanda-offerta vede al centro il rapporto tra mondo dell’istruzione e mondo dell’azienda. Tra le principali linee di azione rientrano le iniziative verso le scuole superiori che facciano comprendere quanto l’elettronica incida nella vita quotidiana e lo sviluppo di percorsi alternativi all’Università per creare profili altamente qualificati. Sul fonte dell’orientamento porto l’esempio di una recente iniziativa dedicata alla microelettronica che ha avuto una grande risonanza e notevole partecipazione a livello nazionale, realizzata da ANIE in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. In quell’occasione, neolaureati in facoltà STEM hanno raccontato la loro esperienza di lavoro in importanti multinazionali e nella ricerca universitaria a studenti delle scuole secondarie italiane ad indirizzo scientifico-tecnologico.