Una sfida doppia per organizzatori e Manager
Nell’ultimo biennio abbiamo vissuto il più grande esperimento collettivo in termini di innovazione nell’organizzazione e nella modalità di lavoro a livello globale, a causa della pandemia di Covid-19 e dei successivi lockdown. Le modalità lavorative di molte realtà sono cambiate in modo repentino, spesso trovando le imprese impreparate. Tuttavia, il lavoro remoto è oggi entrato nella pratica e nella conversazione di tutti gli imprenditori e i lavoratori: conoscerne le caratteristiche, le norme che lo regolano, la sua diffusione, gli impatti sull’attività lavorativa e il benessere è molto importante per delineare gli scenari del lavoro del futuro. L’analisi di questi aspetti mostra come ci troviamo oggi ancora in una fase di sperimentazione e gli impatti delle nuove modalità di lavoro non sono ancora chiari o univoci, ma le dinamiche in atto potrebbero portare a diversi scenari.
In ogni caso, si richiede comunque alle aziende di dotarsi di nuovi strumenti organizzativi in grado di gestire al meglio il lavoro da remoto e i potenziali conflitti che potrebbero nascere dalla polarizzazione tra chi lavorerà, in tutto o in parte, da remoto, e chi invece, per le caratteristiche della propria attività, dovrà necessariamente lavorare in azienda. Si tratta di una sfida che coinvolge manager e lavoratori.
LE DIFFERENZE TRA LE MODALITÀ DI LAVORO A DISTANZA
Iniziamo con qualche chiarimento: il lavoro “da remoto” esisteva anche prima della pandemia, ma si trattava di una pratica ”rara” e poco regolamentata nel contesto aziendale e nei contratti. La necessità di ricorrere al lavoro da casa nell’ultimo biennio, nonché la possibilità di farlo aperta dalle nuove tecnologie, hanno portato a un adeguamento delle modalità, delle regole e dei contratti di lavoro. Esistono, infatti, diversi modi per “lavorare a distanza”. Un lavoro svolto a distanza si può configurare oggi in Italia, data la normativa vigente, in smart working (lavoro agile) o telelavoro. Sono termini che spesso vengono utilizzati in modo intercambiabile o improprio, in realtà indicano modalità lavorative diverse. La modalità lavorativa in remoto, ovvero il telelavoro, prevede che il lavoratore esegua la sua attività al di fuori della sede di lavoro, attraverso strumenti di comunicazione adatti, all’interno degli orari e dei modi previsti dalla stessa attività svolta in ufficio. Il lavoratore che si trova a operare in questa modalità svolge la man- sione in un luogo idoneo che garantisca la sua attività e il collegamento con la sede nell’orario lavorativo previsto dal contratto. In pratica, si tratta di trasporre la mansione lavorativa dai locali dell’impresa a una postazione remota fissa (a casa o al limite in un altro ufficio debitamente preposto), senza alcun cambiamento in termini di modi e orari di esecuzione.
Lo smart working, anche chiamato lavoro agile, disciplinato in Italia dalla legge 81/2017, è una modalità lavorativa che non pre- vede né un luogo né un orario prefissato per lo svolgimento delle attività. Oltre che ampia flessibilità nella scelta del luogo lavorativo, lo smart working prevede anche una flessibilità di orario. La modalità di lavoro agile, infatti, è maggiormente concentrata sul risultato finale, piuttosto che sull’organizzazione o sugli orari. Sta al lavoratore scegliere il luogo e il momento di lavoro, fermo restando il rispetto delle scadenze e dei risultati attesi.
Nella pratica, e anche grazie alla possibilità di gestire la questione senza regole precise, nell’ultimo biennio sono state adottate soluzioni per gestire il lavoro a distanza che hanno combinato aspetti di telelavoro e di lavoro agile, alla ricerca di un mix che potesse garantire la continuità del lavoro data l’organizzazione dei processi esistenti in azienda. Nella grande maggioranza dei casi, modalità e tempi di attuazione del lavoro in remoto sono stati frutto della necessità di far fronte al distanziamento sociale imposto dalla pandemia piuttosto che di una organica e ragionata trasformazione dell’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende. Molto spesso, in sostanza, si è trattato di “smart working di emergenza” in cui si sono spostati in remoto tutti quei “blocchi” di attività aziendale che non richiedevano la presenza in sede. L’analisi della diffusione del lavoro a distanza in Italia conferma questa impressione.
I DATI SUL LAVORO DA REMOTO IN ITALIA
Secondo i dati ISTAT di inizio 2022, presentati nel report “Le imprese dopo l’emergenza sanitaria COVID-19”, la diffusione delle modalità di smart working o telelavoro era in riduzione rispetto all’autunno del 2021 (il 6,6% delle imprese segnalava l’utilizzo del lavoro a distanza, a fronte dell’11,3% precedente). Il report registra una netta prevalenza nel ricorso a queste tipologie di lavoro da parte delle aziende di grandi dimensioni: il lavoro a distanza è infatti presente nel 4% delle micro-imprese, nel 10,9% delle piccole, nel 31,4% delle medie e nel 61,6% delle grandi. I dati confermano anche che l’utilizzo del lavoro a distanza è superiore nel settore dei servizi, soprattutto in quelli diversi dal commercio. Relativamente al 2022, l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano registra che i lavoratori da remoto sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre si rileva una lieve crescita nelle grandi imprese. Le previsioni dell’Osservatorio per il prossimo anno indicano un leggero aumento del lavoro a distanza, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle imprese più grandi e alla previsione di incremento nel settore pubblico. In direzione opposta va la previsione sulle PMI, in cui a frenare sembrerebbe, si legge nell’analisi dell’Osservatorio, “la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza”. In questo senso, tuttavia, i dati a disposizione indicano che lo “smart working di emergenza” introdotto nel 2020 non ha generato problemi di produttività alle aziende. Piuttosto, le ombre dello smart working si misurano soprattutto sul campo dell’interazione, collaborazione e comunicazione fra colleghi e nell’efficienza dei processi produttivi, aree in cui si sono registrati peggioramenti rispetto alla situazione pre-pandemia.
IL FUTURO: OPPORTUNITÀ E SFIDE
Trovare il giusto “fit” tra esigenze aziendali e lavoro in remoto, sebbene non sia facile, soprattutto per le PMI, è un passo molto importante per tutte le realtà che possono farvi ricorso. Lo smart working, o il telelavoro, risultano infatti essere elementi fondamentali per il benessere della forza lavoro, consentendo un migliore work-life balance soprattutto grazie all’abbattimento dei tempi di commuting e ad una maggiore flessibilità dei tempi e spazi di lavoro. Per utilizzare un concetto espresso con efficacia nel Microsoft New Future of Work Report 2022, dopo la “Great Resignation” le organizzazioni devono affrontare le sfide della “Great Attraction”, ovvero costruire assetti organizzativi in grado di attrarre le competenze ed i talenti necessari per la crescita.
VERSO LO SMART “HYBRID” WORKING?
Lo scenario competitivo e le aspettative dei dipendenti devono spingere le aziende, anche le PMI a ricercare il “loro” modello di organizzazione del lavoro, conciliando lavoro in presenza e a distanza. Facile da dire, meno facile da fare. La costruzione del modello di “smart working” è diversa per ogni realtà e non può prescindere dall’analisi di che cosa ha funzionato e di che cosa no nella recente esperienza.
Difficile pensare che l’adozione di un modello di lavoro in remoto sia una decisione “once and for all”, finale e per sempre. Siamo all’inizio di una nuova fase evolutiva dello smart working che ri- chiede di analizzare i dati dell’esperienza pandemica alla luce di nuove conoscenze. Sperimentare, valutare, modificare.
Nel futuro sarà cruciale trovare la giusta ibridazione dei modelli, dove “ibrido” indica l’evoluzione del lavoro full-remote o full in presenza verso forme miste di presenza-remoto sia per quanto riguarda attività, spazi di lavoro e persone. Non solo semplice ne- goziazione fra esigenze diverse, personali e di business, ma una formula del tutto nuova, capace di generare valore aggiunto.
In generale, una valutazione complessiva del lavoro da remoto deve avvenire a diversi livelli:
– A livello individuale, considerando temi quali gli effetti del lavoro a distanza e ibrido sulla produttività e sul benessere, nonché l’evoluzione del rapporto tra lavoro e “vita”.
– A livello di team, considerando temi quali i modelli di collaborazione, il ruolo dei diversi strumenti, le riunioni e la collaborazione asincrona e la realtà virtuale e mista.
– A livello delle organizzazioni considerando il capitale sociale, la comunicazione tra i team, lo spazio ufficio, le aspettative dei dipendenti.
– A livello, infine, della società, prendendo in considerazione argomenti come la geografia del lavoro e il lavoro a distanza e la sostenibilità.
Il disegno di un nuovo modello di organizzazione del lavoro chiede di prendere posizione rispetto a tutte, o molte, delle questioni qui riportate. Questo non può che avvenire a valle di un processo che parta dal ridisegnare il modo in cui le attività sono pianificate e sono stabiliti gli obiettivi e i task (la flessibilità nelle modalità di lavoro non può che discendere dal lavoro per progetti ed obiettivi), e progredisca nel rispetto dell’impronta gestionale e dei valori e degli ideali di ciascuna azienda.
Lo “smart working”, fuori dall’emergenza, richiede alcuni ingredienti di base, come il passaggio dal lavoro a ore a lavoro per obiettivi, la capacità di gestire team ibridi, strumenti non tradizionali per la gestione della performance, prassi nuove per mantenere alta la collaborazione e l’interazione nei team. E ancora, capacità di comprendere e gestire polarizzazioni e conflitti quando non si lavora face-to-face, ma anche l’engagement stesso dei dipendenti che lavorano in modalità a distanza. Come accade in cucina, se uno degli ingredienti manca, il piatto potrebbe non essere buono. Oppure, al contrario, l’assenza di un ingrediente spinge il cuoco creativo a cercare combinazioni innovative con gli ingredienti in dispensa, spesso generando varianti e “ibridazioni” della ricetta originale altrettanto interessanti.