Siamo pronti per il futuro?
Quasi vent’anni fa veniva pubblicato The Singularity Is Near: When Humans Transcend Biology, libro del futurista Ray Kurzweil su argomenti come biologia, intelligenza artificiale, nanotecnologia e transumanesimo. Il termine “singolarità” venne coniato negli anni Ottanta e la definizione ormai comunemente accettata è dello scrittore Vernor Vinge, secondo cui entro trent’anni “avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana”. Questo momento storico è noto, appunto, come singolarità (o singolarità tecnologica) e le sue manifestazioni possono essere osservate sia in oggetti comuni (come uno smartphone o un elettrodomestico), sia in argomenti più metafisici.
Il futuro è irreversibile e considerarlo come utopico o distopico dipende totalmente da noi, ma i nostri sentimenti nei confronti degli sviluppi tecnologici sono ambivalenti e cambiano considerevolmente in base ai loro campi di applicazione. In ambito medico, per esempio, l’AI è accolta quasi all’unanimità come vero e proprio deus ex machina. Già nel 2020, uno studio di Nature aveva dimostrato come l’AI fosse più efficiente dell’uomo nell’identificare lesioni indicanti la presenza di cancro al seno e, più recentemente, un chirurgo- robot progettato dalla John Hopkins University ha eseguito per quattro volte una laparoscopia in totale autonomia e in maniera esponenzialmente più accurata rispetto ai suoi colleghi in carne e ossa.
La tecnologia ci ha finalmente fornito il potenziale per migliorare la nostra delicata (“fragile”, direbbe un bioeticista del calibro di Claudio Sartea) condizione. E il discorso non si limita alla medicina. Pensiamo a un altro campo in cui la fallibilità degli esseri umani gioca un ruolo decisivo, come la giustizia. Al fine di smaltire l’enorme arretrato, l’Estonia ha deciso di sperimentare dei giudici artificiali per risolvere tutte quelle controversie civili di minore entità (fino a 7.000 euro). È stato un successo, perchè non solo le macchine sono migliori di noi nel ragionamento probabilistico, nella precisioine o nello scovare pattern troppo sottili per essere individuati dagli umani, ma esse non hanno pregiudizi.
E se questa è la magnitudo del cambiamento al quale ci è stato dato il privilegio di assistere, abbiamo davvero l’arroganza di credere che la tecnologia non possa avere un impatto nel travel? Per quanto paradossale, sembra proprio di si. Nel nostro settore, infatti, anche la minima allusione all’AI viene percepita come un’eresia. È mia opinione che questa antipatia sia causata da un pregiudizio quasi atavico che gli esseri umani hanno nei confronti dell’AI. Nel saggio L’uomo è antiquato, il filosofo Günther Anders parla di un sentimento tipico della nostra società (post) moderna, che lui chiama “vergogna prometeica”. Per Anders, questa vergogna esiste perché l’uomo viene sistematicamente superato dalle sue invenzioni, in un rapporto asincrono con quella tecnologia di cui lui stesso è creatore. Ma non è detto che questo sia un male, anzi.
Credo possiamo tutti concordare sull’assunto che fare l’albergatore significa prendersi cura dei propri ospiti, non dei propri software. Ma è proprio qui che nasce il fraintendimento centrale, perchè la realtà è che più tecnologia si aggiunge in un hotel, più umana diventa l’esperienza dell’ospite, in quanto si libera il personale (umano) da tutti quei compiti ripetitivi, umilianti e noiosi, riposizionandolo dove risiede realmente il suo valore aggiunto.
Fino a vent’anni fa, un addetto alla reception era qualcuno che si prendeva semplicemente cura degli ospiti. Oggi, invece, ciò che fa un receptionist è occuparsi principalmente di compiti tecnici che potrebbero (e dovrebbero) essere eseguiti da una macchina. A chi non è capitato di arrivare in albergo e di imbattersi in qualcuno che ci parla a malapena, non per scortesia, ma perché oberato da compiti inutili? Scansionare una copia del passaporto, pre-autorizzare la carta di credito e generare una chiave magnetica sono operazioni che un albergatore è spesso costretto a compiere manualmente per necessità, non perché esse migliorino in alcun modo la nostra esperienza. Registrare i dati anagrafici su un gestionale non è artigianato. Non c’è nessun valore aggiunto nel fatto che sia un essere umano a farlo, piuttosto che una macchina. E il fatto che, quando si cerca un addetto al ricevimento da assumere, si dia più valore al fatto che sappia o meno utilizzare Opera rispetto alle sue soft skill, la dice lunga sulla deriva che il nostro settore sta prendendo.
“Kitanai, kiken, kitsui” è un modo di dire Giapponese, traducibile, grossomodo, in “sporchi, pericolosi e umilianti” e che si riferisce a quei lavori non qualificati e sottopagati che pochi sono disposti a fare. Fino a poco tempo fa, l’utilizzo di lavoratori non biologici era riservato quasi esclusivamente a essi; tuttavia, negli ultimi anni, si è consolidata una nuova tendenza che vede il fenomeno dei robot, dell’intelligenza artificiale e della service automation, sempre più in concorrenza con i lavoratori umani per impieghi più specializzati e meglio pagati, in settori come la finanza, la medicina, la giurisprudenza, la chirurgia e, appunto, l’hospitality.
Automatizzare i processi è oggi una necessità aziendale che, con tecnologie e infrastrutture sempre più accessibili sia in termini di investimenti richiesti che di implementazione, non è più appannaggio unico di OTA o grandi brand di catena. L’intelligenza artificiale fornisce agli albergatori la possibilità di rimpiazzare praticamente tutti quei processi che girano dietro le quinte (ovvero: tutti quelli nei quali la presenza di un essere umano non è strettamente necessaria).
L’intelligenza artificiale fornisce agli albergatori la possibilità di rimpiazzare praticamente tutti quei processi che girano dietro le quinte (ovvero: tutti quelli nei quali la presenza di un essere umano non è strettamente necessaria).
Quando si gestisce un albergo, il problema principale è sempre lo stesso: la mancanza di tempo. E l’AI può restituirci proprio questo: il tempo, aiutandoci (e non sostituendosi a noi) in tutti quei compiti altamente time-consuming che, purtroppo, ancora cannibalizzano buona parte delle nostre giornate.
Tuttavia, ancora oggi, negli hotel vige una sorta di inerzia tecnologica nei confronti della quale siamo tutti correi: fornitori, consulenti e albergatori. È arrivato il momento di correggere il tiro.
La domanda da porsi è: siamo pronti?