venerdì 04 Ott, 2024

Il gap da colmare per gli IoT

Intervista a Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano su un settore dal potenziale elevato

Tra i processi di innovazione digitale più dinamici in atto, c’è sicuramente l’industrial IoT che ha a che vedere con l’applicazione dell’Internet of Thing (IoT) ai processi industriali per renderli più efficienti e sicuri. In generale le tecnologie IoT, che connettono oggetti ad altri oggetti, stanno trasformando in chiave digitale l’economia mondiale, producendo una mole di dati che debitamente monitorati e inseriti in un processo di condivisione possono creare un enorme valore e una spinta al cambiamento anche in chiave di sostenibilità. L’industrial IoT è la creazione di un sistema di macchinari connessi tra loro, dispositivi e sensori, che lavorano in rete tra di loro. Un’architettura che viene utilizzata per migliorare efficienza e produttività dell’impresa.

Ma come funziona nel nostro paese?

Lo abbiamo chiesto a Giulio Salvadori,

Direttore dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, che nel raccontare i processi in corso di realizzazione, traccia un quadro esauriente dei dati riguardanti le imprese, dei meccanismi e degli scenari, anche alla luce del sistema degli incentivi agli investimenti, compresi nel Piano Transizione 5.0 che intende spingere proprio verso un sistema industriale sempre più interconnesso e green. 

In base ai dati diffusi dall’Osservatorio sull’ IoT il mercato per questo settore è in crescita. Pare invece non essere così per il mercato dei progetti industriali IoT. Come mai accade questo? Come possiamo spiegare i due fenomeni?

In realtà, se andiamo a guardare i valori di mercato troviamo una crescita del +9% del mercato IoT complessivo, mentre cresce addirittura del +16% quello della fabbrica smart 4.0 e del +8% quello della logistica intelligente. In questo scenario, la percentuale di grandi imprese che ha avviato progetti industrial IoT nel corso del 2023 è stata pari al 18%, dato inferiore rispetto al 31% registrato nel 2022. Dobbiamo però considerare che molti dei progetti avviati nel 2022 non si sono tutti conclusi, per quanto riguarda fatturato e costi, nel corso dell’anno, ma hanno avuto ricadute – e quindi portato valore di mercato – anche nel 2023. 

Quindi, ricapitolando, il mercato dell’Industrial IoT cresce, anche se la crescita rallenta rispetto a quella osservata l’anno precedente. E il rallentamento è dovuto in primis al dimezzamento degli incentivi del Piano Transizione 4.0, avvenuto nel corso del 2023. Questo fattore ha portato a rimandare nel tempo i progetti, nell’attesa della definizione del nuovo piano di incentivi. E l’ “effetto attesa” ha portato a un rallentamento nella crescita. 

Quanto è diffuso l’industrial IoT nelle aziende italiane, piccole o grandi? 

Per quanto riguarda le grandi aziende, 3 su 4 hanno avviato almeno un progetto, tra le PMI siamo a 1 su 3. C’è ancora un gap importante da colmare. Si tratta in molti casi di progetti esecutivi, ampi ed estesi nel tempo, mentre in altri casi si fa riferimento a sperimentazioni limitate ad alcune aree della fabbrica o della supply chain e a un certo orizzonte temporale. Il percorso verso la digitalizzazione dei processi industriali è ormai avviato, anche se c’è ancora molto lavoro da fare.

Quanto contribuirà il piano Transizione 5.0 a rilanciare il mercato degli Industrial IoT?

Ci aspettiamo un contributo molto importante. Da un lato si è verificato un meccanismo di attesa fino a poche settimane fa (agosto, ndr), per capire in quale direzione andasse il Piano. Ora che il quadro è chiaro, le imprese si sono attivate, consapevoli del poco tempo a disposizione, data la scadenza posta a fine 2025. Dall’altro lato, si potrebbe verificare un effetto parzialmente frenante, per il fatto che il meccanismo di accesso agli incentivi è cambiato. Prevede delle certificazioni, che vengono emesse da alcuni attori che devono entrare nel processo e andare a certificare quel determinato risparmio energetico che si ottiene. Si tratta di una notizia positiva perché comporta la necessità di attivare un monitoraggio a seguito dell’avvio dei progetti. Le imprese, però, soprattutto le piccole e medie, potrebbero avere difficoltà a interpretare correttamente il nuovo meccanismo incentivante. Ci aspettiamo comunque una crescita importante del mercato, capiremo quale sarà una volta che avremo i dati a fine anno.

Quali opportunità è possibile intravedere dall’interazione tra IoT e AI?

Le opportunità sono davvero numerose, dal potenziale elevato. Se osserviamo ad esempio i dati a livello internazionale di una indagine che ha coinvolto oltre 300 manager IT, ciò che emerge è che la metà delle imprese ha avviato progetti IoT o di AI, le due tecnologie di frontiera oggi più diffuse. Sono però poche le imprese che abbinano le due tecnologie insieme, in modo integrato. Questo è ancora più vero in Italia, dove l’integrazione tra questi due mondi, AI e IoT, ancora latita. 

Nonostante ciò, gli ambiti in cui utilizzare efficacemente queste due tecnologie di frontiera, sono numerosi. Nei contesti industrial, ad esempio, l’Intelligenza Artificiale si configura come un valido alleato durante l’installazione di asset o contatori connessi nel contesto Utility, o di macchinari industriali in quello manifatturiero. Attraverso la generazione di istruzioni dettagliate personalizzate, è possibile guidare gli utenti in tutte le fasi del processo, semplificando l’installazione e riducendo la necessità di interventi tecnici. In ambito industriale, le tecnologie AI assumono un ruolo chiave anche in processi di manutenzione – specialmente quella predittiva e prescrittiva – generando avvisi e raccomandazioni in tempo reale e consentendo alle aziende di intervenire prima che si verifichino guasti critici. Inoltre, anche nel caso in cui si dovessero verificare dei guasti, l’AI facilita la comunicazione con la knowledge base di fabbrica, analizzando le cause e fornendo suggerimenti per ripristinare rapidamente la produzione. Parliamo di scenari non solo in fase di sviluppo, ma, in alcuni casi, già concreti. 

Quali settori industriali sono più coinvolti e dovrebbero investire di più?

Uno dei settori più coinvolti e che già investe in questo campo è senza dubbio l’Automotive. I settori coinvolti e che invece devono investire di più sono, ad esempio, il mondo del legno e del mobilio, quello del tessile e quello della gomma e della plastica. Questi ultimi sono tre esempi di settori in cui si stanno diffondendo sempre più asset, impianti e macchinari connessi, ma in cui ad oggi i dati prodotti non vengono adeguatamente valorizzati. Quindi siamo in una situazione in cui c’è ancora molto da fare, rispetto ai settori più avanzati, e c’è un grande potenziale da sfruttare. 

Un aspetto che emerge sull’IIoT è proprio questo: occorre valorizzare meglio l’utilizzo dei dati raccolti. Quali strategie è auspicabile immaginare per agire in questa direzione?

Affinché i dati provenienti dall’Internet of Things possano realmente generare valore, è essenziale che vengano adeguatamente elaborati e gestiti, aspetto che costituisce ancora una sfida rilevante per le imprese. Attualmente, solo poco più della metà (53%) delle grandi aziende operanti in Italia utilizza i dati provenienti da asset e dispositivi IoT, in forma grezza o rielaborata. 

Grazie alla possibilità di sfruttare appieno il potenziale dei dati raccolti, è possibile oggi abilitare nuovi servizi e modelli di business, altrimenti non accessibili. Per esempio, è possibile fornire servizi aggiuntivi o aggiornamenti software, sia in modalità gratuita – stimolando l’adozione e la fiducia dei clienti e creando una base utenti solida – sia dietro il pagamento di una fee, generando nuovi profitti. O ancora, la raccolta di informazioni sull’uso dei prodotti connessi può consentire alle aziende di attivare offerte sempre più personalizzate, adattando il servizio alle esigenze specifiche di ciascun cliente e aumentando il livello di soddisfazione. Anche le modalità di pagamento di un prodotto connesso possono evolvere, sfruttando ad esempio l’utilizzo del prodotto stesso (pay-per-use), o a fronte del raggiungimento di alcuni KPI prestabiliti (pay-per-performance), allineando gli interessi dell’azienda con il successo operativo del cliente e creando un legame più stretto e vantaggioso per entrambe le parti.

Una corretta governance dei dati raccolti implica di gestire in maniera corretta le tematiche legate agli accessi e alla condivisione dei dati stessi. In questo senso, anche la normativa sta evolvendo e si osservano nuovi sviluppi a livello europeo. Il 27 novembre 2023 la Commissione Europea ha infatti approvato il Data Act, regolamento che ha l’obiettivo di semplificare la gestione dei dati generati dall’uso di prodotti connessi o di servizi correlati, garantendo equità nella distribuzione del valore e aprendo opportunità per l’innovazione basata sui dati. 

Il regolamento evidenzia tre punti centrali. Il primo punto riguarda l’obbligo di produttori e fornitori di consentire agli utenti di accedere e riutilizzare tali dati. Il secondo sancisce la portabilità dei dati, che potranno essere facilmente trasferiti tra diversi fornitori di servizi, vietando ostacoli di diversa natura, come commerciale o tecnica, al trasferimento degli stessi, al fine di prevenire abusi da parte di attori con una posizione negoziale significativamente più forte. Il terzo punto stabilisce l’accesso degli enti pubblici ai dati privati in circostanze eccezionali, come disastri naturali o pandemie, o per compiti di interesse pubblico, dietro compensazione per le micro e piccole imprese. L’applicazione del regolamento è prevista a circa 20 mesi dalla sua pubblicazione, a settembre 2025, avvenuta in via definitiva l’11 gennaio 2024.

Le aziende – e più in generale tutti gli enti – responsabili della gestione dei dati provenienti dai dispositivi smart dovranno quindi impegnarsi per adottare un approccio coerente con il nuovo regolamento, sfruttando in primis i vantaggi che questo abilita per una corretta circolazione e fruizione dei dati. 

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