La rubrica a cura di TEM PLUS per capire da vicino il mondo delle esportazioni, i trend, i paesi che presentano le migliori opportunità e come si possono cogliere
Sono stato chiamato dalla rivista Tecnologia e Innovazione a redigere una serie di approfondimenti sul tema del “digital export” nelle aziende b2b. Questo è il primo articolo, a cui ne seguiranno altri nei prossimi mesi, che contribuirà ad un white paper, una pubblicazione, che porterà a qualcosa di inedito nel mondo b2b, una guida per l’azienda che vuole (r)innovare il proprio processo di export.
Secondo l’Osservatorio Export Digitale del Politecnico di Milano, l’export digitale nel b2b in Italia vale circa 175 mld di Euro, con un peso superiore al 25% delle esportazioni (b2b) totali. I settori maggiormente coinvolti sono l’automotive (22%), il fashion (15%) e la meccanica (10%) mentre quelli che dimostrano una crescita importante sono il farmaceutico e l’elettronica di consumo.
Si tratta, tuttavia, di dati che tengono conto solo delle transazioni avvenute tramite piattaforme e-commerce.
Cos’è il digital export
L’e-commerce rappresenta la parte visibile dell’iceberg dell’export digitale, quella più facilmente comprensibile e misurabile.
Sia chiaro, non sto dicendo che l’e-commerce b2b ha un ruolo secondario nel complesso mondo delle strategie digitali a supporto dell’export. Oggi il buyer internazionale si aspetta che il fornitore adotti un approccio omnicanale per incontrare le proprie esigenze di esplorazione e di acquisto e l’e-commerce rappresenta una valida opzione. Tuttavia, l’export digitale b2b è tanto altro.
È anzitutto un approccio per arrivare ai potenziali clienti.
Nel mio libro “La via dell’export”, edito da Rubbettino, parlo di tre possibili approcci per raggiungere i clienti esteri. Il primo è l’approccio toc-toc ovvero il modello più antico e più utilizzato dalle aziende: “bussare alla porta” del potenziale cliente che non ci conosce, il cliente “freddo”, da cui il nome chiamata a freddo o cold call.
Il secondo è l’approccio relazionale cioè quello utilizzato dal (bravo) Export Manager che è stato in grado di costruire e mantenere nel tempo positive relazioni con gli operatori di un settore specifico o di un mercato. È la persona che torna da loro nel momento del bisogno – per esempio per presentare i prodotti della nuova azienda per cui lavorano – e che può così beneficiare di una maggiore apertura e disponibilità all’ascolto.
Il terzo è l’approccio magnete, quello che sfrutta strategie digitali per indurre il potenziale cliente a compiere un’azione nei nostri confronti come un acquisto, una richiesta di informazioni e l’iscrizione alla newsletter.
Un insieme di strumenti
È facile capire che in un’epoca in cui le aziende sono stufe delle proposte provenienti da call-center (approccio toc-toc) e considerando l’approccio relazionale limitato numericamente – le relazioni dell’EM, se presenti, sono un numero finito – la prospettiva di adottare strategie di marketing in grado di raggiungere il potenziale cliente e far sì che sia lui ad entrare in contatto con te è allettante per molte, se non tutte, le imprese b2b.
Non ho finito, perché il digital export b2b è ancor più di un approccio per arrivare ai clienti.
È l’insieme degli strumenti (digitali) che consentono di redigere la strategia di sviluppo internazionale (Piano Export) e di metterla in pratica (sviluppo operativo) con maggiore efficienza ed efficacia rispetto a quanto fosse possibile solo pochi anni fa.
Reputo questa definizione – che cos’è il digital export nel mondo b2b – la più completa perché partendo dalla definizione della strategia e arrivando alla sua messa in pratica è trasversale sia all’e-commerce che all’approccio per arrivare ai clienti. Questi ultimi diventano una componente dello sviluppo internazionale delle aziende se e solo se le fondamenta, ovvero la strategia, ci dicono che l’e-commerce e/o l’approccio magnete sono una via idonea per l’azienda. Nei prossimi articoli avrò modo di approfondire il concetto e renderlo più chiaro al lettore.
A che punto è l’Italia
Se considerassimo soltanto i dati sulle transazioni tramite piattaforme e-commerce dovremmo dire che l’Italia rappresenta una frazione del mercato europeo che a sua volta ha un peso minoritario (6%) nel digital commerce b2b globale, dominato dai Paesi dell’Asia Pacifica, in particolare la Cina (40%).
Il dato dell’Italia è, se possibile, ancora peggiore. Citando l’Osservatorio Export Digitale, le PMI italiane scontano una cultura aziendale ancorata ai paradigmi del passato e una limitata disponibilità di risorse da allocare in tecnologie a supporto dell’export.
Questo atteggiamento rischia di fare perdere competitività alle nostre aziende non solo nei confronti dei Paesi maturi, storicamente nostri concorrenti, ma anche, e soprattutto, verso quei mercati emergenti che, non potendo vantare una solida tradizione in fatto di export né di un brand “made in” riconosciuto, investono nell’aggiornamento delle competenze e in tecnologie digitali.
Ne è un esempio la testimonianza portata da Marcello Antonioni, CEO di Studiabo srl, una realtà italiana che sviluppa sistemi informativi a supporto dei processi decisionali delle imprese, durante un recente workshop moderato dal sottoscritto, di come le imprese di alcuni Paesi emergenti o in via di sviluppo, per esempio il Sud Africa, la Malesia, le Filippine e la Giordania, anche con il supporto di enti governativi, stiano richiedendo l’accesso a strumenti digitali per la valutazione della “prontezza all’export” al fine di avviare percorsi di sviluppo internazionale se e solo se l’azienda si dimostra pronta e priva di elementi di debolezza.
In tale scenario acquista maggiore rilevanza il white paper che andrà a comporsi grazie a questo articolo e ai successivi.
Chiudo con un’anteprima di quanto approfondiremo nei prossimi numeri: parleremo di come impostare una strategia digitale, dell’importanza strategica della creazione di contenuti e degli strumenti indispensabili per fare digital export nel mondo b2b.