Un’industria italiana forte ma vulnerabile: dipendenza da forniture estere e concentrazione dell’export minacciano la tenuta delle filiere
La tredicesima edizione del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, curata da ISTAT e chiusa a fine febbraio, si concentra sul posizionamento internazionale del sistema produttivo italiano e sulle sue vulnerabilità nei confronti degli shock globali. Temi già sollevati nelle edizioni precedenti, dalla crisi pandemica alla guerra in Ucraina, si rinnovano ora alla luce di nuove pressioni. In primis la recessione in Germania, principale partner commerciale dell’Italia, ma anche la svolta protezionista della nuova amministrazione statunitense, che ha annunciato dazi su numerose categorie merceologiche.
Il valore dell’export italiano
Nel 2024, l’Italia ha raggiunto un nuovo record di avanzo commerciale verso gli Stati Uniti, circa 35 miliardi di euro, superata in Europa solo dalla Germania. I due paesi da soli rappresentano il 70% dell’intero surplus commerciale dell’UE verso gli USA. In parallelo, quasi la metà del valore delle esportazioni italiane è oggi diretta fuori dall’Unione Europea, con una quota del 10% concentrata sul mercato statunitense.
Ma l’analisi ISTAT mette in guardia. L’apertura commerciale e la forte proiezione estera che hanno sostenuto la crescita italiana nell’ultimo quindicennio possono ora rappresentare fattori di vulnerabilità. Due indicatori sintetizzano il rischio sistemico: la dipendenza da input intermedi importati e la concentrazione geografica delle importazioni e delle esportazioni. L’Italia, rispetto ai principali partner europei, mostra una vulnerabilità maggiore alle forniture estere, in particolare nei settori del coke e raffinazione, chimica, metallurgia, elettronica e tessile-abbigliamento-pelli.
Manifatturiero
Il cuore della competitività industriale italiana resta il comparto manifatturiero, che nel 2024 ha continuato a trainare l’export, grazie alla presenza capillare di piccole e medie imprese ad alta specializzazione. Ma è proprio nella struttura delle filiere produttive che il Rapporto ISTAT 2025 individua alcuni dei principali elementi di vulnerabilità sistemica. L’analisi condotta a livello settoriale e microeconomico mostra come molte imprese operino in ecosistemi interconnessi, dove il rischio di dipendenza si trasmette per effetto domino da un comparto all’altro.
Tra i concetti chiave introdotti dal Rapporto vi è quello di beni fortemente dipendenti dalle importazioni (FDP): si tratta di prodotti per i quali l’Italia importa oltre il 50% dell’offerta interna, e dove la sostituibilità è bassa. I beni FDP rappresentano oltre il 30% dell’import nazionale e si concentrano in settori cruciali come metallurgia, chimica, componentistica meccanica, elettronica, tessile e alimentare. La loro presenza in più fasi della produzione, anche in comparti tipicamente a valle come moda, arredamento o food & beverage, rende l’intero sistema esposto a shock di approvvigionamento.
Le interdipendenze tra settori sono amplificate dal modello produttivo italiano, basato su filiere corte, distretti territoriali e specializzazione flessibile. Un vantaggio competitivo che, in tempi di stabilità, consente reattività e innovazione, ma che in un contesto globale instabile può diventare fattore di fragilità. L’ISTAT sottolinea come una parte significativa dell’export italiano sia generato da imprese la cui continuità operativa dipende da input critici esteri. In particolare, circa il 13% delle esportazioni totali è realizzato da imprese “potenzialmente vulnerabili” sia sul lato dell’import che dell’export, ma responsabili di oltre il 40% dei flussi commerciali.
Automazione industriale
Il comparto dell’automazione industriale, intesa in senso esteso come insieme di macchinari, componentistica meccanica e sistemi integrati per la produzione, rappresenta uno dei capisaldi dell’export manifatturiero italiano. I macchinari sono oggi il primo settore per valore di esportazione verso gli Stati Uniti, segnando un cambio di paradigma nei flussi commerciali rispetto al tradizionale asse intra-europeo. Questa performance, tuttavia, convive con una serie di vulnerabilità strutturali, in primis la dipendenza da componenti elettronici importati, spesso provenienti da paesi terzi con elevato rischio geopolitico.
Il Rapporto ISTAT evidenzia come molti dei prodotti a più alta tecnologia presenti nelle linee di automazione italiana, sensori, microprocessori, schede di controllo, rientrino tra i cosiddetti beni FDP, ovvero fortemente dipendenti dall’import. La difficoltà nel reperire forniture alternative, unita alla crescente tensione nei mercati asiatici e all’aumento dei costi logistici, sta creando uno scenario di pressione sui margini, in particolare per le imprese medie e piccole che operano nei distretti della meccatronica e della robotica.
Automotive
Tra i comparti più sensibili alle dinamiche globali, il settore degli autoveicoli si conferma strategico e vulnerabile al tempo stesso. Nel 2024, le multinazionali a controllo estero hanno generato circa il 78% dell’import e il 45% dell’export di questo comparto, condizionando profondamente la struttura e l’orientamento dei flussi commerciali. Un dato che evidenzia la forte integrazione del settore nella rete globale della componentistica e che, allo stesso tempo, ne rivela la fragilità rispetto a shock esterni, in particolare nei confronti dei principali partner europei ed extra-UE.
Dal lato dell’import, la Germania si conferma fornitore chiave, in particolare per i FDP nel campo della metallurgia e dei componenti per autoveicoli. La Cina, invece, è il principale partner extra-UE per quanto riguarda i beni FDP legati alla meccanica. Questa duplice dipendenza, da paesi politicamente instabili o economicamente in recessione, aumenta i rischi di strozzature nelle forniture e rende difficile per molte imprese trovare alternative nel breve periodo. Secondo il Rapporto ISTAT, i beni FDP si distinguono per la difficoltà di sostituzione e per l’elevata concentrazione geografica, due caratteristiche che espongono direttamente le imprese a vulnerabilità di approvvigionamento.
Queste dinamiche sollevano interrogativi rilevanti per le imprese italiane: come difendere la resilienza produttiva? Quali strategie adottare per diversificare mercati e fornitori? Il Rapporto suggerisce la necessità di ripensare le catene del valore in chiave più regionale (reshoring, nearshoring, friendshoring) e di investire su una maggiore autonomia tecnologica e produttiva. La capacità di adattarsi a uno scenario commerciale frammentato sarà, nei prossimi anni, una leva decisiva per la sopravvivenza e la crescita delle imprese industriali italiane.