Le regole per una corretta gestione dei diritti quando le imprese decidono di fare squadra. Con il fine di evitare frizioni, rallentamenti e contenziosi
Come ogni imprenditore ben sa, la necessità di investire tempo e risorse per continuare ad innovare nel proprio settore costituisce una sfida non sempre facile: mettere a fattore comune competenze ed esperienze in campi diversi potrà di certo essere utile a trovare soluzioni innovative e migliorare prodotti, processi e competere efficacemente sul mercato. La collaborazione tra imprese può assumere varie forme e progettualità, più o meno strutturate, da semplici accordi di collaborazione, fino a co-branding e co-marketing, reti di imprese, joint-venture e partnership, e così via.
Si potranno ad esempio utilizzare contratti di licenza con i proprietari di tecnologie di interesse o, al contrario, concedere in licenza proprie tecnologie in altri settori dove potranno essere efficacemente utilizzate da imprese specializzate, dietro riconoscimento di una royalty. Se la collaborazione ha ad oggetto i marchi, si potrà cercare di espandere il proprio mercato attraverso contratti di co-branding e co-marketing. Se invece si è disposti ad un coinvolgimento ancora maggiore, sarà possibile sfruttare le potenzialità di strumenti come joint venture, consorzi e reti di impresa. Oltre che sul piano organizzativo e commerciale, queste formule consentono di unire le forze e le diverse specializzazioni per fare attività di ricerca e sviluppo, condividere i costi e dare maggiore slancio all’innovazione. Il che si traduce in più possibilità di crescita e di partecipazione a progetti europei e altre opportunità a vantaggio di tutti i partecipanti.
In tutti i casi, comunque, la collaborazione tra imprese pone l’azienda di fronte alla questione della ripartizione e della gestione dei diritti sui risultati di tale collaborazione, che se non gestita correttamente fin dall’inizio, può creare frizioni, rimettere in discussione rapporti ed equilibri tra i player coinvolti, fino anche a vanificare gli sforzi fatti insieme in una prima fase o addirittura l’intero progetto.
Come prevenire dunque?
- La prima regola:
Definire fin dall’inizio, in maniera quanto più chiara possibile, gli obiettivi della collaborazione, i risultati attesi e le progettualità che ne dovrebbero conseguire per l’azienda. In questo modo è chiaro sin dall’inizio quali dovranno essere i rapporti tra i vari partner e conseguentemente quali accordi negoziare e formalizzare.- Negoziare e stipulare fin dall’inizio accordi scritti, definendo regole chiare sulla collaborazione e sui rapporti che ne conseguono, per evitare di trovarsi a rimettere in discussione e dover rinegoziare quegli accordi un domani. Ad esempio, sarà importante definire, in particolare:
- a chi spettano i diritti al deposito di eventuali brevetti e a chi spetterà la titolarità dei diritti sulle innovazioni frutto della collaborazione;
- se si tratta di diritti in contitolarità e in quali percentuali;
- ripartizione di oneri e spese, posto che la protezione degli asset di proprietà intellettuale può comportare dei costi (si pensi ad esempio ai costi e alle procedure per ottenere un brevetto o un modello, alle misure contrattuali e organizzative da adottare per difendere il know-how, ecc.);
- modalità di decisione su scelte strategiche relative a quei diritti, sia con riguardo alle procedure necessarie per ottenere le tutele, sia per la monetizzazione sul mercato dei relativi titoli e diritti (es.: cessioni, licensing, ma anche rinnovi ed abbandoni di titoli di proprietà industriale, ecc.);
- chiarire anche, per quanto possibile, a chi spetterà difendere tali diritti e come si dovrà decidere per eventuali azioni da avviare contro possibili violazioni;
- definire e concordare gli altri accordi “commerciali” relativi agli esiti attesi del progetto e ai rapporti commerciali tra le parti rispetto agli output della collaborazione.
Basti pensare che in caso di contitolarità di diritti, circostanza che può manifestarsi abbastanza frequentemente nella collaborazione tra imprese (soprattutto quando le parti contribuiscono al progetto ma non hanno formalizzato in modo chiaro la titolarità e la ripartizione dei diritti sugli output della collaborazione), in mancanza di accordi tra le parti, la legge prevede l’applicazione della normativa prevista dal codice civile per la comunione.
Questo richiede di interpretare le relative regole decisionali (all’unanimità/a maggioranza) in base alla natura ordinaria o straordinaria delle decisioni da adottare, con una serie di incertezze sul piano pratico, tanto che la Cassazione è intervenuta sul tema anche di recente per cercare di fare un po’ di chiarezza (si pensi ad esempio a temi come la decisione di cedere un brevetto, darlo in licenza o revocare la licenza, prevedere o meno un’esclusiva, ecc.). Il quadro può essere ancor più articolato e dubbio quando vi siano elementi di internazionalità nella collaborazione. Tutto questo può essere chiarito in anticipo, magari negoziando un po’ di più nelle fasi iniziali, ma potendo prevenire problemi e discussioni, che in alcuni casi possono bloccare un progetto, rallentarne il successo sul mercato, o addirittura dare luogo a lunghi e costosi contenziosi.
- Il codice della proprietà industriale prevede regole specifiche in relazione ai diritti dei dipendenti sulle invenzioni, ai diritti dei ricercatori nella ricerca pubblica e in tema di diritti e contratti nella ricerca pubblica finanziata. Sarà importante quindi tenerne conto nel disciplinare i rapporti che dovranno realizzarsi all’esito della collaborazione e ai possibili rischi e correttivi da prevedere. A maggior ragione laddove una prima parte della collaborazione si fosse già svolta in assenza di accordi formali.
- Inserire clausole contrattuali e adottare policy organizzative e comportamentali per evitare di inficiare le possibili future tutele di interesse. Per farlo, occorre avere chiaro fin dall’inizio quali, tra gli oggetti astrattamente tutelabili, sono effettivamente di interesse per l’impresa. Sarà utile quindi identificare il prima possibile quali sono gli output attesi e cosa si potrà tutelare in astratto, per poi fare un bilanciamento in rapporto alla propria realtà aziendale. Si pensi ad esempio all’importanza delle clausole di riservatezza, soprattutto ove vi sia interesse a valutare la brevettabilità come invenzione o come modello di utilità del frutto della collaborazione. Questo vale sia nei rapporti tra le imprese partner nella collaborazione, sia anche nei rapporti con dipendenti e collaboratori, e verso l’esterno nei rapporti con fornitori, freelance e possibili clienti e partner commerciali. Infatti, divulgare un trovato non tutelato da riservatezza anche in tali rapporti, prima di aver depositato il brevetto, può causarne la non brevettabilità o la nullità del brevetto per cosiddetta pre-divulgazione.
- Regole analoghe possono valere tanto per innovazioni tecniche o tecnologiche, quanto per la ricerca sul piano estetico. Avviene sempre più frequentemente che le imprese collaborino con designer e artisti per creare nuovi prodotti e attirare l’attenzione dei consumatori. Anche in caso di collaborazioni relative al design di prodotto sarà importante adottare accordi scritti per definire titolarità di diritti, ripartizione di oneri e spese e regole decisionali chiare per le scelte principali relative a sfruttamento e protezione dei diritti IP. In tali casi, è sempre consigliabile prevedere espressamente se e quali diritti spetteranno al committente e quali al designer (se ve ne sono). Infatti, sebbene vi siano teorie circa la titolarità dei diritti in capo al committente, in mancanza di accordi scritti chiari occorrerà interpretare la ripartizione dei diritti in base all’oggetto del contratto, con possibili dubbi interpretativi e zone grigie su cosa si potrà fare e cosa no con quel design. Soprattutto se il prodotto dovesse avere successo, la situazione potrebbe diventare delicata. Insomma, prevenire è meglio che curare. Sarà inoltre importante ponderare bene le clausole di garanzia e di limitazione di responsabilità, soprattutto per i casi in cui dovessero insorgere contestazioni sui design così creati, una volta adottati dal committente.
- Attribuire la corretta paternità del design al legittimo autore, per evitare conflitti sui diritti morali dell’autore, il cui riconoscimento potrà essere richiesto dall’autore e, dopo la sua morte, dai suoi eredi. Occorre sottolineare che la regola vale anche per la corretta indicazione degli inventori in ambito tecnologico.
- E in caso di software? Tralasciando gli algoritmi, che non possono essere brevettati ma potrebbero essere tutelati, a certe condizioni, con il segreto commerciale, occorre premettere che ai software si applica la normativa sul diritto d’autore (sul codice sorgente). I diritti d’autore sono un insieme di diritti indipendenti l’uno dall’altro e che di regola viaggiano separatamente. Quando si sviluppa un software è particolarmente importante verificare a chi spetteranno i diritti sul codice sorgente e chiarire contrattualmente tale aspetto, sia che si tratti di codice sviluppato da dipendenti (soprattutto quando ciò sarebbe oggetto delle loro mansioni), sia che si tratti di freelance o software house. Queste ultime infatti a volte prevedono contrattualmente di mantenere la titolarità dei diritti di sfruttamento economico sul codice sorgente. A maggior ragione dunque occorre condurre questa verifica quando il software è sviluppato da futuri soci o futuri partner commerciali, magari con il contributo di tutti o parte di essi e senza aver inizialmente stipulato contratti al riguardo.
- Precostituire una prova della cosiddetta data certa, ossia essere in grado di dimostrare la propria titolarità dei diritti d’autore in un certo momento storico, posto che il diritto d’autore sorge con la creazione dell’opera, senza che sia necessario ottenere registrazioni o titoli a tali fini. Le modalità possono essere varie. È ad esempio possibile depositare il software presso il Pubblico Registro Software tenuto dalla SIAE.
- Come comportarsi quando la collaborazione ha ad oggetto l’uso in comune di un brand? In tali casi è consigliabile verificare che i marchi coinvolti siano protetti sia nei paesi di sbocco che in quelli di produzione. Inoltre, occorre realizzare, accanto ai contratti scritti che definiscono poteri, obblighi e responsabilità di ciascuno, un cosiddetto brand manual, che fornisca regole chiare su come il marchio debba essere utilizzato sul mercato, in modo che ne sia salvaguardata la reputazione e la riconoscibilità e ne siano mantenute intatte le caratteristiche.
- In caso di contratti di rete, verificare sempre le previsioni del contratto di rete in tema di marchi e, se nulla è previsto, integrare previsioni contrattuali espresse in merito alla possibilità di depositare marchi d’impresa della rete, identificando il soggetto/i abilitato/i, ed ai relativi poteri e oneri della rete al riguardo. La normativa sulle reti di impresa, infatti, nulla prevede al riguardo, limitandosi a fare cenno ai marchi di qualità della rete (che sono cosa ben diversa dal marchio d’impresa). In più, il quadro si complica se si considera che le reti possono essere o meno dotate di soggettività giuridica (rete contratto e rete soggetto), con delle conseguenze sul piano giuridico, che possono essere per buona parte affrontate in fase di redazione del contratto di rete e dei regolamenti relativi all’uso del marchio, che dovrebbero mettere in chiaro le modalità d’uso consentite e quelle vietate ai soggetti autorizzati all’uso.
Un uso corretto di tali accorgimenti può favorire la collaborazione
Tali accorgimenti possono da un lato favorire la collaborazione tra imprese, aiutando a superare la diffidenza verso gli altri player coinvolti in ciascun progetto, riducendo così le reciproche preoccupazioni nel condividere esperienza e know-how per la sperimentazione di innovazioni di prodotto o di processo, e dall’altro prevenire o comunque ridurre il rischio di discussioni e litigi tra i player coinvolti nella collaborazione, mettendo in chiaro fin dall’inizio e per iscritto ruoli, diritti e responsabilità. Sebbene si tratti di temi complessi, un loro corretto inquadramento nelle giuste fasi e con il supporto professionale adeguato può rivelarsi estremamente utile e consente di risparmiare tempi e costi di possibili contenziosi.
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